Occorre prendere atto che una fase si è chiusa a Hong Kong
Il Partito comunista e la repressione hanno vinto. Ma le parole e i sentimenti di chi non accetta questo fanno bene a pronunciarsi per quelli che la pagheranno più cara
Amici impegnati nel sostegno alla causa della libertà di Hong Kong e affidabili, mi spiegano come oggi occorra prendere atto che una fase si è chiusa con la inevitabile prevalenza del Partito comunista e della repressione, e che le forze democratiche devono mirare a preservarsi, immaginare altri terreni, e intanto rinunciare ad andare allo sbaraglio in piazza, con conseguenze che la legge sulla sicurezza ha reso enormemente più gravi. Che Joshua Wong e i suoi l’hanno capito, come dimostra lo scioglimento di Demosist. Che la posizione del cardinale Zen e dei giovani militanti oltranzisti della piazza – un vecchio cardinale e i centri sociali, per così dire – è del tutto impolitica. Che un realismo non opportunista consiglia di vedere lo stesso Comitato centrale del Pcc meno monolitico di come sembri, e il segretario Xi Jinping non come il più duro dei capi. Eccetera. Penso che abbiano molte ragioni, e anzi addirittura che abbiano ragione. Ma uno come me, e come quasi tutti noi spettatori da lontano, sa che la sua parola non ha la minima influenza sullo svolgersi delle cose, che non pesa nemmeno come una piuma, nemmeno come un battito d’ali di farfalla. E che a Hong Kong alcuni torneranno in piazza e la pagheranno carissima. Altri sapranno lavorare con più lungimiranza e profondità, considerare i rapporti di forza, tenere un conto lucido del passato e del futuro. Altri abbandoneranno, per sfiducia o per paura. E penso che le parole e i sentimenti di uno come me e di quasi tutti noi facciano bene a pronunciarsi per quelli che la pagheranno più cara. Così, in memoria del testamento di Carlo Pisacane, del “sacrificio senza speranza di premio”.