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Elogio della panchina (e delle parole)

Adriano Sofri

Il Comune di Bologna le chiama "sedute": in ogni caso hanno una loro bibliografia illustre e una connotazione romanzesca

Ammesso che l’avessi mai saputo, non ricordavo che si dicesse (si fosse detto, sono arcaismi) cicaleggio e cicaleggiare oltre che cicaleccio e cicalecciare. Li ha impiegati ieri Antonio Scurati deprecando sentitamente l’estate, e i vocabolari attestano l’uso da parte di Fogazzaro e Pratolini, dunque tanto di cappello. Pochi giorni fa avevo imparato, da un sentito intervento di mio fratello Gianni, sul Corriere di Bologna, in favore delle panchine del centro minacciate di espianto, che le autorità competenti non le chiamano panchine ma “sedute” (“Il dibattito sulle sedute di piazza IV Novembre”). Qui il vocabolario mi ha confortato meno. Il dizionario Treccani, per esempio, dà Seduta come sinonimo di sedile : s. in paglia, in tessuto; poltroncina con s. e schienale in cuoio. Ero lì che rimuginavo, ed ecco che ritrovo “seduta” a designare il banco o la sedia di scuola: così, nel Covid, “il bando sulle sedute didattiche attrezzate di tipo innovativo…”, o “le sedute a ruote”… Qui trovo solo qualche luogo che lo dà per sinonimo di sedile (e allora perché?) e non trovo attestazioni letterarie che mettano in soggezione e riducano l’irritazione.

 

Le panchine hanno una loro bibliografia illustre: che cosa sarebbe del resto dei grandi romanzi se i loro protagonisti non si fossero dati appuntamento a una panchina? Beppe Sebaste pubblicò un ispirato “Panchine. Come uscire dal mondo senza uscirne” (Laterza 2008, con molte ristampe). Già ventitré anni fa un glorioso sindaco di Treviso si era proposto di abolire le panchine diventate ricettacolo scostumato di migranti e barboni. Ora c’è una tendenza riformista delle amministrazioni a sostituire alle panchine – quelle belle, di legno a onda e verdi di preferenza, ma anche di pietra o di ferro, con o senza schienale – dei cubi di pietra il cui fine resta di impedire all’avventore di sdraiarsi, o anche solo assopirsi appoggiandosi a uno schienale. Alberto Bonfietti, che era un mantovano trasferito a Venezia (Mantova 1943-Ustica 1980), una volta fece un viaggio a Londra e ne tornò commosso dalla civiltà di quei parchi testimoniata dalla frequenza, solidità e comodità delle panchine. Infatti le parole, prima d’essere soppiantate, portano con sé ricordi preziosi. Mio fratello Gianni, che ha difeso le panchine specialmente in nome dei vecchi stanchi, ha compiuto ieri 84 anni, e ne vado fiero.

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