Il presidente turco Tayyip Erdogan (foto LaPresse)

Piccola Posta

Così si mette a rischio la reputazione della Cedu

Adriano Sofri

Il presidente della corte di Strasburgo fa visita a Erdogan. Intanto la liberazione dell'avvocato Ünsal arriva per mano della Cassazione turca e nel silenzio dell'organismo europeo

Torno sulla questione turca, che è singolarmente diventata questione del Diritto europeo e internazionale per la combinazione fra la morte di Ebru Timtik, l’avvocata curda detenuta dopo 8 mesi di digiuno, la sentenza della Cedu che ha rigettato l’istanza di scarcerazione per Aytaç Ünsal, suo compagno di lotta, giovane avvocato anche lui detenuto e in sciopero della fame da 213 giorni, la visita ufficiale del presidente della Cedu, Róbert Ragnar Spanó, in Turchia, e la decisione della Cassazione turca di liberare provvisoriamente Ünsal “per ragioni di salute”, fino a che non si rimetta abbastanza da tornare in cella.

  

La sentenza avversa al ricorso dei difensori di Ünsal aveva suscitato sconcerto e costernazione, poiché era arrivata a sostenere che non fosse in pericolo imminente di vita un uomo ridotto agli stremi, determinato a morirne, risoluto a rifiutare l’alimentazione forzata. Tanto più che la sentenza ripeteva quella della Corte suprema turca su Timtik, che l’ha contraddetta inesorabilmente, morendo. Spanó, 48 anni, islandese di padre italiano, napoletano, ha un curriculum prestigioso; del resto non so se e quanto il presidente eserciti un peso in ogni procedimento trattato dalla Corte di Strasburgo. Ma la sequenza – due soli giorni – fra sentenza Cedu, arrivo di Spanó in Turchia, e la sentenza urgente della Corte costituzionale di liberazione per motivi di salute di Ünsal, solleva interrogativi incresciosi.

  

Spanó giovedì ha appunto incontrato per primi, per 45 minuti, a porte chiuse, Recep Tayyip Erdogan e il ministro della Giustizia Abdulhamit Gül, e poi il presidente della Corte costituzionale. La liberazione di Ünsal è stata un grazioso omaggio all’ospite? Provvidenziale, certo, per chi speri nella vita di Ünsal, benché i giudici non si siano pronunciati sul processo giusto che rivendica e rivendicava Timtik. La visita di Spanó durerà quattro giorni. Nel primo ha sollevato il problema dell’inosservanza plateale della Turchia nei confronti delle sentenze della Corte dei Diritti dell’Uomo e raccomandato l’indipendenza dei giudici.

 

Non ha fatto cenno alla condizione degli avvocati. Ha confermato di accettare la laurea honoris causa dell’università statale di Istanbul, responsabile dopo il 2016 dell’epurazione di 193 docenti, compresi i più autorevoli. Fra loro l’illustre giornalista e accademico Mehmet Altan, incarcerato per due anni e poi scagionato senza essere reintegrato nel suo posto di docente, come migliaia di suoi colleghi. Sono 6 mila i docenti espulsi dalle università in quattro anni. Altan aveva indirizzato una lettera aperta al presidente Spanó, chiedendogli di rinunciare alla imbarazzante e frivola cerimonia della laurea – senza precedenti, oltretutto, per un giudice internazionale.

  

Altan ha anche evocato la carcerazione di suo fratello Ahmet, da ormai quattro anni, al cui ricorso la stessa Cedu ha assegnato una priorità, senza tuttavia arrivare a trattarlo. Ieri è stato il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa a chiedere la scarcerazione immediata del famoso difensore dei diritti umani e imprenditore, Mehmet Osman Kavala, prigioniero da tre anni, più volte assolto e sempre imputato di nuovi reati. Proprio una sentenza della Cedu, nel dicembre 2019, aveva dichiarato che la sua reclusione era “priva di prove sufficienti”, violava il suo “diritto alla libertà e sicurezza stabilito dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo” e mirava a “metterlo a tacere e intimidire altri difensori dei diritti umani”. Kavala aspetta dal 4 maggio scorso che la Corte costituzionale si pronunci sul suo ricorso.

  

Kavala ha presentato ricorso alla Corte costituzionale turca all’inizio di maggio. Anche qui, non sono in grado di valutare se il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa abbia voluto intervenire nella congiuntura così delicata, interferendo in sostanza con l’ambito di competenza della Cedu. Sta di fatto che ha chiesto alla Turchia di formulare entro l’11 novembre un programma che “definisca le misure generali da adottare per prevenire in futuro analoghe violazioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo”. Si ricorderà che anche il leader dell’Hdp, Partito democratico del popolo, Selahattin Demirtaş, è in carcere nonostante le sentenze opposte della Cedu, e con lui molti suoi compagni e compagne, già parlamentari e sindaci e sindache.

  

Quando scrivo, non so che cosa Spanó abbia detto all’università che lo incorona laureato. Magari avrà pronunciato un’arringa memorabile per limpidità e coraggio – il coraggio di dire le cose giuste. Me lo auguro. La reputazione della Cedu è preziosa. Ho una postilla da aggiungere. La situazione nel Mediterraneo orientale ricorda stranamente a un vecchio scolaro l’incubo del capitolo sulla “Questione d’Oriente”. Il conflitto fra Grecia e Turchia gioca sull’orlo del confronto militare, fra due paesi formalmente nella Nato, uno dei quali è membro dell’Unione, l’altro è la madrepatria di milioni di turchi in Germania. La “Questione d’Oriente” era anche la questione russa, a suo modo lo è ancora, quando l’Europa deve chiedere conto a Putin degli oppositori liquidati col veleno in patria e fuori. Che il Mediterraneo ridiventi un mare di Guerra fredda, dopo essere diventato un cimitero di migranti e un banco di grossi e piccoli pegni di statisti e scafisti è un altro brutto scherzo della storia.

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