Piccola Posta

Quel fungo buonissimo

Adriano Sofri

Cresce tra Enna, Caltanissetta e Palermo, si chiama Ferula. Uno di quei nomi che non vogliono proprio farsi ricordare

La sapete la barzelletta del vecchio vedovo smemorato che va a far visita al coetaneo smemorato e ammogliato che non vede da un po’, lo saluta appena che il padrone di casa eccitato gli dice di aver scoperto una medicina formidabile per la memoria. “Davvero? E come si chiama?” chiede il visitatore. “Si chiama – risponde il visitato – si chiama, si chiama…”. Sta un po’ sovrappensiero, poi gli domanda a sua volta: “Come si chiama quel fiore che gli innamorati regalano alle innamorate?” “Rosa?”, azzarda il visitatore. “Ecco!”, approva il visitato, poi si volta verso la cucina e grida: “Rosa, come si chiama quella medicina fantastica per la memoria?”. L’ho raccontata male, ma ne vado pazzo. Ieri un amico di Piazza Armerina mi ha inoltrato un filmato sulla cerca del fungo squisito che si chiama “Pleurotus Eryngii” e ha una varietà “Ferulae”, perché cresce sulle radici della Ferula communis (finocchiaccio) o della Cachrys ferulacea (basilisco comune). In Sicilia si chiama appunto Funciu di ferla, e nell’Alto Lazio, ho visto, Ferlengo, e in Sardegna anche Cardolinu de ferula e Freurratzu. (Altrove il nome popolare è legato al cardo).

 

Io sono affascinato dai funghi, ma ho un problema con la ferula. Si tratta del mio rimbambimento. Per esempio, qualche giorno fa, per la prima volta nella mia vita, mi sono chiesto se io condisco i pomodori mettendo prima l’olio o il sale. Non importa la risposta giusta, importa che abbia condito i pomodori per 78 anni senza mai chiedermelo e ora all’improvviso dubitavo. Come chiedersi con che gamba cominciare prima di camminare. L’altro giorno mi sono accorto che non sapevo più bene che cosa vuol dire enfiteusi. Ieri leggendo un libro sono stato incerto sugli attentati a Mussolini di Zamboni e di Zaniboni – di questo almeno sono venuto a capo senza Google. L’altroieri ho datato una dedica di un libro al 1919: un episodio di diciannovismo.

 

E ci sono nomi che non vogliono saperne di lasciarsi ricordare da me: ferula, specialmente. Quella dentro la quale Prometeo portò la scintilla di fuoco. (O era la canna dentro la quale i monaci portarono il baco da seta? Ma no, no, quella era bambù). Fu proprio Prometeo, di cui si dice genericamente che usasse una canna. Per l’esattezza Prometeo rubò la scintilla e la infilò dentro il fusto cavo della ferula, accendendone il midollo. Chissà che cosa nel mio inconscio me la fa dimenticare. Lo so, si tirerà in ballo la ferula-verga dionisiaca, il tirso, e qualcosa che deponga contro la mia placidità sessuale. O la ferula che serviva (forse ancora) ai maestri per bacchettare sodo gli scolari, a denunciare un mio masochismo. O la ferula come pastorale vescovile o asta crociata del papa, ad accusare miei turbamenti religiosi. Mah. Insomma, la ferula è un’Apiacea mediterranea e asiatica che comprende 170 specie erbacee perenni – è bellissima, costeggia le vostre strade, la conoscete tutti di sicuro, magari confondendola col finocchio selvatico. Serve a fare sgabelli tralicci e torce olimpiche. Ho appena ripassato su Wikipedia. D’ora in poi, quando non mi verrà il nome, mi basterà chiedermi: “Come si chiama quel fungo buonissimo che cresce fra Enna Caltanissetta e Palermo?”.

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