Antonio di Ciolo insieme ad Andrea Cassara, Salvatore Sanzo e Simone Vanni ai Giochi olimpici di Atene del 2004 

Piccola Posta

Antonio Di Ciolo, l'ultima stoccata

Adriano Sofri

Allenatore di atleti medagliati, promotore dello sport paralimpico e scrittore. Quando lo incontrai a piede libero gli dissi che mi figuravo i maestri di scherma come piuttosto fascisti. Replicò che anche uno che passava per intelligente come me poteva essere scemo

E’ morto Antonio Di Ciolo, maestro di scherma. Aveva 86 anni, era pisano e leggendario per la bravura e l’umanità. Aveva avuto un viso pirandelliano, da ultimo da filosofo barbone greco, un Diogene. Suoi allievi, uomini e donne, avevano vinto titoli olimpionici e mondiali. Due di loro, Sanzo e Vanni, vennero a visitare il carcere pisano, freschi delle medaglie d’oro, e fu una gran festa. Di Ciolo fu un promotore dello sport paralimpico, allenatore dell’allora Nazionale disabili dal 1985 al 2000, e da lui passarono campioni olimpici e mondiali come il mio carissimo Soriano Ceccanti, grazie al quale lo conobbi.

 

 

Ricordavo la scherma come una pratica d’altri tempi, c’erano maschera e fioretto fra le vecchie cose di mio padre, e alla media del Virgilio romano l’insegnante di ginnastica, uomo di mezza età e baffi interi, bonariamente (nei miei ricordi) fascista, teneva anche, nel pomeriggio, un corso di scherma facoltativo cui partecipai svogliatamente. Quando finalmente incontrai Di Ciolo a piede libero gli dissi che mi figuravo i maestri di scherma come piuttosto fascisti. Replicò che anche uno che passava per intelligente come me poteva essere scemo.

 

 

Ha scritto, con diversi collaboratori, parecchi libri. L’ultimo, con Antonio Scarpa: “Non perdo nemmeno se mi battono”. Sottotitolo: “Per una teoria anarchica del combattimento”. Parlava semplicemente e apoditticamente, fra Chance Giardiniere e Niccolò Machiavelli. Il suo figlio e continuatore, Enrico, con allievi illustri come Simone Piccini, Sabrina Balestracci, Alessandro Puccini, aveva raccolto “Aforismi e pensieri del maestro”. Ho guardato un video con una sua intervista di pochi anni fa, gli si chiedeva di illustrare i segreti del mestiere, in particolare l’idea di iniziativa. Diceva: bisogna partire, fin da piccini, dalla finta. Il problema non è la velocità, è l’iniziativa. Con la finta, bisogna far fare all’altro il movimento che vogliamo che lui faccia – e poi infilzarlo, conclusione mia. Vale comunque, fioretto spada sciabola.

 

 

Poi aggiungeva: però l’altro potrebbe anche non farlo. L’altro può essere di quelli che, come diciamo noi, non abboccano, oppure è restio e prova lui a imporre la sua scherma. Occorre avere pazienza e ricominciare, la finta, eccetera. Poi spiegava che fin dai primi movimenti si distingue fra Scherma e Nonscherma. Qualcosa come il Benedetto Croce di Poesia e Nonpoesia.

Di più su questi argomenti: