Piccola Posta
Contro il terrorismo islamico Macron si è intestato una guerra che riguarda tutti noi
L’Isis è tutt’altro che debellato, nel vicino oriente e soprattutto in Asia, benché passino inosservate da noi le cifre delle stragi. Il ritorno degli attentati in Francia
La pandemia è affare universale, come dice il nome. Tuttavia fa le sue differenze. Nel mondo povero, appare spesso meno invadente. È in concorrenza con altre epidemie. Si misura con un pregio della vita individuale, della sua salute, della sua durata, incomparabilmente svalutato rispetto al conto che della vita si fa nei paesi sviluppati, e soprattutto in Europa. Ancora, vi si combina con un atteggiamento religioso fatalista che può svolgersi politicamente nel fanatismo che fa del sacrificio della vita un valore supremo.
Dal punto di vista di un programma terroristico jihadista, la situazione del mondo è eccellente. L’occidente non ha mai avuto un ventre così molle. Stati Uniti ed Europa sono andati a una opposta deriva. La Nato è una sigla svuotata, tanto più irrisoriamente quando simula di avere ancora nella Turchia un suo pilastro. La cosiddetta seconda ondata della pandemia esaspera in Europa le contrapposizioni interne, di generazione, di condizioni di lavoro e di reddito, oltre che di superstizioni e di vanità ideologiche.
Gli Stati Uniti sono andati verso la conclusione elettorale in un’aria di guerra civile. L’Isis della fase offensiva, quella dei filmati con le gole e le teste tagliate che terrorizzavano e ipnotizzavano l’Europa, avrebbe affondato in questa Europa i suoi coltelli fino al manico (e lo avrebbe tentato, l’Isis e i concorrenti qaidisti, o le rivali bande sciite iraniane, se anche a loro non fossero state tagliate le unghie, negli Usa in cui il presidente buffone era positivo al virus). L’Isis è tutt’altro che debellato, nel vicino oriente e soprattutto in Asia, benché passino inosservate da noi le cifre delle stragi, ma la perdita del territorio, dunque dello stato, gli ha tolto la capacità simbolica e materiale di attrazione e di comando di cui aveva goduto.
Ma lo stato del mondo, così eccellente per un desiderio di martirio jihadista, non sfugge ai singoli, i lupi solitari, e i gruppi famigliari e comunitari dentro cui si muovono. Il discorso di Macron sul “separatismo islamista” veniva a ridosso del processo per Charlie e di un assalto stradale alla mannaia, e gli hanno fatto seguito il martirio vero e involontario – vero perché involontario – di Samuel Paty, e ieri la cattedrale di Nizza. Decapitazioni artigianali epigone di quelle registrate con la tecnica sofisticata e rallentata dello Stato islamico.
Macron si è messo dentro un conflitto durissimo, qualunque conto abbia saputo fare delle conseguenze. E lo ha fatto in un paese travolto dal contagio e attraversato da tensioni sociali forti. L’Europa, tutti i suoi stati, e le loro genti, vi sono coinvolti. E le obiezioni contro il rincaro delle vignette di Charlie sono l’argomento più scontato e insieme più superfluo e ipocrita per le renitenze alla chiamata. Le vignette non c’entrano. Erdogan è il provvisorio antagonista.
La Grecia e il petrolio mediterraneo, la Libia, il Nagorno Karabakh, sono altrettanti appigli per il tentativo di Erdogan di ripagare la sofferenza sociale domestica con la retorica della grandezza ottomana offesa e della guida dell’offeso islam sunnita. Provvisorio, perché non sarà lui a guidare la rabbia araba né quella, la più virulenta, asiatica, come in Pakistan o in Afghanistan o in Bangladesh, dove la rivolta jihadista antifrancese insidia intanto i regimi locali.
E non, ovviamente, la mobilitazione eccitata contro la Francia dagli sciiti in Iran o in Iraq. Nei commenti europei, anche in quelli più rispettosi e solidali, si insinua troppo spesso una sottolineatura della “laicità” come una peculiarità tutta francese, una specie di tic nazionale ed esotico, una denominazione controllata. La peculiarità c’è, ma non è lei in ballo. In ballo è la laicità europea, la sua libertà di pensiero e di espressione, la sua libertà di insegnamento, la sua libertà religiosa. La nostra.