Piccola Posta
Per sapere che verrà fuori dai nuovi anni Venti guardiamo a quelli del secolo scorso
Il 2021 si avvantaggia della reputazione del 2020. Ma per chi ha memoria storica il Ventuno mette malumore
Gli anni nuovi arrivano pieni di auguri, anche se vengono per deludere. Il 2021 si avvantaggia della reputazione del 2020, definitivamente Anno della Pandemia, promettendosi come Anno del Vaccino. Se no, a chi ha memoria politica, il Ventuno mette di malumore, come nella canzone più strampalata e perciò da me prediletta, “L’anarchia è una grande idea Vuole la pace e la fratellanza”, che passa a raccontare come “a Fabriano l’han fatta grossa / Se la son presa con Pietro Gori / Gli hanno tirato tanti bicchieri / Gli hanno tirato i pomodori / Ma i pomodori fanno la spia sono il puntello della borghesia / Gira la rota Del Ventuno / A morte preti e frati Viva Giordano Bruno” (così la mia versione, i testi riportano il Trentuno, che è tutta un’altra cosa).
Il Venti, inteso come il 1920, fu l’anno culminante dell’offensiva operaia e proletaria del primo Dopoguerra, cioè l’anno in cui l’intenzione rivoluzionaria toccò il suo proprio limite e ricadde, aprendo la strada, come sempre le rivoluzioni minacciate e mancate, alla controrivoluzione, che vinse appunto nel Ventuno e, come le controrivoluzioni del Novecento, pretese per sé il nome di rivoluzione. Rivoluzione fascista, nomi ambedue rubati alla tradizione anarchica e socialista. Il gennaio del Ventuno nei due teatri di Livorno, quello del congresso del Psi e quello della sbrigativa fondazione del Pcd’I, furono la ratifica di una sconfitta che diventò presto disfatta. Vedremo – qualcuno vedrà – che cosa verrà fuori dai nuovi anni Venti. In un appunto del 1988 di Clemente Manenti, i cui scritti bellissimi sono ora postumamente pubblicati per le edizioni della pisana Biblioteca Serantini, e ne parleremo, si legge: “L’unico merito storicamente incontestabile della generazione del ’68 è quello di essere la memoria degli anni 20. Tutti i nostri angeli siamo andati a cercarli lì: senza il ’68 gli anni 20 – almeno in Europa – sarebbero andati persi sotto tutti gli aspetti, asfaltati. Questa è la sola missione che abbiamo avuto nostro malgrado, e che dobbiamo continuare a difendere: nel nostro caso i due angeli gemelli siamesi, Gobetti e Gramsci (insieme facevano le prose di Leopardi)”.
Una nostalgia degli anni 20 ha suggerito (non mi spingerei a dire ispirato) a Woody Allen uno dei suoi film-carrozzone europei, “Midnight in Paris”. La nostalgia lì va ufficialmente agli incontri con Scott Fitzgerald, Picasso, Man Ray e specialmente Hemingway, in realtà al desiderio per le loro donne, donne d’altri e famosi. Paolo Di Paolo, che è nato nel 1983, ci è appena tornato nel suo sentito “Svegliarsi negli anni Venti” (Mondadori). Anche lui moltiplica i suoi incontri, e pedina i suoi angeli. Il Piero Gobetti che “non ha ancora compiuto ventun anni quando fonda, il 12 febbraio 1922, ‘La Rivoluzione liberale’”. Cita il notista dell’Economist per il quale “vivere negli anni Venti del Duemila significa essere tra le persone più fortunate che mai abbiano vissuto”. In un’ultima pagina, ultimissima, dopo le note e i ringraziamenti, c’è una riga in corsivo rivolta a chi ha letto: “Che cosa ti aspetti dai tuoi anni Venti?”. Il resto è bianco.