Nicola Zingaretti, segretario dimissionario del Pd, è presidente della Regione Lazio (LaPresse)

Piccola Posta

Così Zingaretti si rimpossessa del diritto all'irresponsabilità personale

Adriano Sofri

Le dimissioni da segretario appaiono come una decisione ragionevole e comprensibile. Con un messaggio ai colleghi del Pd: ora una dose di responsabilità tocca a loro. Diversamente vadano pure a quel paese

 

Uno dei sintomi rivelatori di che cosa sia la politica ufficiale vigente è la simpatia che suscita chi si dimetta. Le dimissioni sono uno spiraglio attraverso cui improvvisamente passa, sia pur facendosi piccolo piccolo, un tratto umano. Zingaretti è un tipo esemplare della responsabilità personale e della responsabilità istituzionale di un partito che rinunzia a perseguire, e poi per inerzia ad avere, un proprio orizzonte di ideali e di idee. Tanto c’è abbastanza da fare per arginare l’irresponsabilità altrui, le smargiassate, le cialtronerie, gli ultimatum, i punti non negoziabili. Per giunta il destino baro ha dato alle varie fazioni degli irresponsabili la maggioranza dei voti nelle urne e la maggioranza dei voti nei sondaggi, sicché bisogna rinviare la resa dei conti, tenere il dito nel buco della diga sperando che ogni giorno guadagnato avvicini la fine della piena. 

 

Zingaretti è un uomo gentile, lo è stato anche con Barbara D’Urso in un momento di difficoltà di Barbara D’Urso, l’altro giorno per un lapsus ha detto “noi del Pci…”, è anche un uomo paziente. Il Pd non esiste e al tempo stesso se il Pd non esistesse non ci sarebbe argine allo sfascismo. La responsabilità è insieme il vizio che impedisce di avere un proprio carattere e la virtù necessaria a ostacolare il male peggiore. Si capisce che chi sia alla testa di un simile partito si trovi in un grave svantaggio anche con i rivali intestini, che scimmiottano o importano l’irresponsabilità degli avversari esterni.

 

Stando così le cose le dimissioni di Zingaretti paiono la decisione più ragionevole e comprensibile. Non lo sono, però. La frase: “Mi vergogno che nel Pd, partito di cui sono segretario, da 20 giorni si parli solo di poltrone e primarie”, se non è voce dal sen fuggita, è una clamorosa rivendicazione di irresponsabilità. “Nel Pd”: certo, Zingaretti allude a correnti, concorrenti, notabili, ma ha detto nel Pd. Nei sondaggi elettorali dopo l’investitura di Draghi pare che una quota esorbitante spetti agli incerti. Ora, immaginate di essere incerto e che il segretario uscente del Pd vi abbia detto che se ne vergogna e che nel Pd si parla solo di poltrone e di primarie: la vostra incertezza, almeno quanto a votare Pd, sarà immediatamente fugata.

 

La mia conclusione è diversa da quello che mi aspetterei, diciamo. La mia conclusione è che Zingaretti si sia dimesso in un modo inaspettatamente brusco dal senso di responsabilità. E che questo renda di fatto impossibile un suo ripensamento alla imminente assemblea. Oltretutto, incarnare sempre la responsabilità impedisce di conversare nella lingua quotidiana delle persone. Allora: o Zingaretti ha rotto l’andatura, e può succedere anche al più paziente dei somari. Oppure, prendendosi finalmente un proprio diritto all’irresponsabilità, ha avvisato i colleghi tutti che ora una dose di responsabilità tocca a loro, e se no vadano pure a quel paese. Un tratto umano, appunto.

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