Piccola Posta
Il Papa a casa dell'Ayatollah
L’incontro di Najaf tra Francesco e al Sistani completa un programma per il quale ogni guerra di religione nell’islam e nella cristianità, ogni motivazione religiosa del terrore, è dichiarata blasfema
Sono così frustrato per non aver partecipato al viaggio del Papa Francesco che voglio tornare sull’incontro “storico” con il Grande ayatollah al Sayyd Ali Husseini al Sistani, come se ci fossi stato. Dopotutto, sapete, non c’è stato nessuno, né giornalisti, né telecamere. Un paio di prelati accompagnatori, per qualche minuto. Il fotografo della illustre Hawza, il seminario di Najaf, per la foto ufficiale da distribuire, dopo averne ritagliato il paio di prelati e l’interprete, così che rimanessero solo i due, il Papa e il Marja al Taqlid – il modello dei credenti.
Tutto nero uno, tutto bianco l’altro, nessuno guarda in macchina, al Sistani perché non si metterebbe mai in posa, Francesco perché si adegua. Hanno le mani posate sulle cosce, nello stesso atteggiamento. Sono due vecchi, uno ha 84 anni ed è arrivato fin là zoppicando, l’altro ne ha 91, è a casa sua, non ne esce quasi mai. Vive in una modestia estrema – anche l’altro nella sua Santa Marta, del resto – e quasi nascosto. Una parte della venerazione che lo circonda è dovuta a questa distanza, alla renitenza a mostrarsi, che rimanda al dodicesimo imam scomparso, occultato, Muhammad al Mahdī: quello che gli sciiti duodecimali aspettano dall’anno 940, perché ricomparirà. Sono lì, hanno poco da dirsi. I brevi comunicati finali sono già pronti, naturalmente. Separati, mai troppo zelo. Non sono tipi da slanci o gesti improvvisati – non Sistani, almeno. Dirà le cose che contano, specialmente Sistani: che i cristiani in Iraq devono essere rispettati, come tutti. (Riserva una menzione speciale ai “palestinesi dei territori occupati”).
Per il resto, l’incontro è storico già perché è successo, e basta scrivere che una cosa è successa per la prima volta – la prima volta di un Papa a Najaf, col Grande Ayatollah – per chiamarla storica. La storia è un sinonimo della prima volta. Loro sanno di che cosa si tratta. Se non fosse avvenuto oggi, questo incontro fra i rappresentanti di due grandi religioni, non sarebbe avvenuto più. Sistani è così vecchio, e ha avuto i suoi malanni. Nel 2004 era andato a curarsi il cuore a Londra, a condizione che gli togliessero di torno giornalisti fotografi e scorte, ed era tornato appena in tempo a Najaf per togliere fisicamente dal santuario di Ali, il primo imam sciita, l’Esercito del Mahdi di Moktada al Sadr, un momento prima che si consumasse la carneficina finale tra i sadristi e i militari americani e iracheni. Al Sadr, il demagogo che allora e oggi è il suo cruccio, l’impostore che usurpa la sua benevolenza e insieme morde il suo freno. Appena un anno fa al Sistani era andato ancora sotto i ferri. Da anni ci si interroga sulla sua successione. Non ha investito un successore, non pubblicamente almeno. Non fu così per lui.
Il Grande Ayatollah Abul-Qassem Khoi lo aveva prediletto, e alla sua morte, nel 1992, l’autorità di Khoi e il prestigio personale che si era guadagnato bastarono a fargli riconoscere il primato al seminario di Najaf, che conta quasi mille anni, e per i credenti meno invasati dal potere politico è incomparabile con ogni altro, compresa Qom, che compirà un secolo solo il prossimo anno. L’autorità religiosa sciita non risponde a una gerarchia formale, è guadagnata sul campo, per così dire, misurata prima di tutto dal numero dei follower (fa un po’ sorridere, col linguaggio di ora: è la popolarità a decidere…) che implica l’influenza sugli altri religiosi, la quantità di denaro che viene dai fedeli ed è redistribuita in stipendi alla moltitudine di chierici e in carità. Nessuno può rivaleggiare con Sistani, tantomeno quell’Ali Khamenei che comanda l’Iran da quarant’anni ma come teologo e giureconsulto è uno qualunque. Ha un gran potere, naturalmente, lui e i suoi pasdaran e il suo beniamino generale Suleimani, finché era vivo, sicché quel potere, tutto politico e finanziario, del denaro pubblico ben più che delle contribuzioni volontarie dei fedeli, potrà essere trasmesso facilmente al suo erede – e non manca molto.
Al contrario, il successore di Sistani dovrà guadagnarsela, la sua autorità, in un paese come l’Iraq in cui la Shi’a si è spartita in una miriade di feudi armati e saccheggiatori che abbassano ancora ipocritamente la testa al nome di Sistani, ma non faranno certo altrettanto dopo di lui. Verrà meno così l’ultimo riferimento comune in uno stato sempre più fittizio, il vegliardo venerato dagli sciiti e rispettato anche dai sunniti e dai curdi. Un manifesto che ha avuto una divertita circolazione alla vigilia della visita di Francesco a Sistani aveva montato sotto i ritratti dei due le fotografie dei politici di spicco intitolando “Ali Baba e i Quaranta ladroni”: Ali è il nome di Sistani, Baba è l’arabo per Papa, e i politici di Baghdad sono gli altri quaranta.
Molti studiosi sostengono da tempo che con la scomparsa di Sistani avrà termine quel modo di essere della Shi’a che va sotto il nome di Marjayat, e si fonda appunto sull’autorità indiscussa (indiscussa, non indiscutibile: non esiste là dogma di infallibilità, salvo che nella contraffazione politicante della teocrazia iraniana che proclama il “giurista assoluto”) di un interprete religioso riconosciuto, che si asteneva dal mescolarsi direttamente col potere politico. Così è stato Sistani, e anzi per questo gli venne imputato un “quietismo”, un’indifferenza opportunistica alle malefatte del potere. Nell’Iraq di Saddam Sistani stette in realtà per dodici anni a Najaf in una reclusione domiciliare, e dopo l’invasione americana la sua parola fu più volte decisiva: così nel 2005 nel rivendicare le elezioni a suffragio universale che venivano ritenute dagli occupanti “immature”. Così nel 2014, quando dal suo appello sorse la mobilitazione popolare armata contro lo Stato islamico che aveva fatto di Mosul, la seconda città irachena, la sua capitale. (Le peggiori bande armate Hashd al Shaabi, cresciute sulla scia del suo appello e consolidate militarmente ed elettoralmente al soldo degli iraniani, sono via via diventate il suo incubo). Più volte la sua parola segnò la caduta di governi invisi al popolo, e ancora di recente si è alzata a denunciare la repressione sanguinosa delle manifestazioni di giovani che agitano il sud sciita di Nassiriya e Basra.
Che se lo siano detto o no, Sistani e Francesco sapevano perché questo incontro aveva tanta fretta. Perché Francesco aveva, con tante altre, questa ragione per non rinviare ancora il suo pellegrinaggio, nella contrarietà ragionevole, troppo ragionevole, di ogni genere di consiglieri. Dopo l’enciclica Fratelli tutti, e la sua doppia firma con il Grande imam sunnita di al Azhar, Ahmad al Tayyb, l’incontro di Najaf completa un programma per il quale ogni guerra di religione nell’islam e nella cristianità, ogni motivazione religiosa del terrore, è dichiarata blasfema. (Occorre ricordare che l’ostilità e l’odio tra musulmani integralisti sunniti e sciiti, “apostati”, è più virulento di quello contro i non musulmani).
La storia di Sistani è per sé irripetibile nelle generazioni successive. Lui, la suprema autorità di fatto dell’Iraq, iraniano di nascita, di Mashhad (come Khamenei), la città sacra dell’Ottavo imam, e arabo di famiglia, non è mai diventato cittadino iracheno. A Najaf, la città sacra di Ali, il genero del Profeta, ha vissuto salvo un intervallo di un anno dal 1951. Il suo prestigio enorme anche a Qom è largamente dovuto all’efficacia del suo rappresentante, e suo genero, Javad Shahristani, il primo a introdurre l’uso della rete. Sistani ha una presenza internazionale imponente, oltre che nei paesi in cui la presenza sciita è più numerosa, nelle grandi capitali occidentali e in Africa. Il blog condotto dal suo ufficio è accessibile da chiunque in molte lingue, inglese e francese comprese. Voglio offrirne un saggio. Conviene conoscere la posizione che un uomo così influente esprime sui temi della vita quotidiana, che costituiscono del resto la più gran parte della guida religiosa musulmana. Se ne resterà sconcertati, se si ignori la rigidità patriarcale dell’ortodossia islamica, per dire così. Lo si sarà un po’ meno se si ricordi il repertorio di efferati catechismi e manuali avidamente casistici del confessore che in un passato non lontanissimo è appartenuto alla pratica cristiana dalle nostre parti. E le posizioni espresse da Sistani sono considerate molto più aperte di quelle di altre “guide spirituali”. La rubrica si chiama “Domande e risposte”. Le risposte vengono dalla città santa di Najaf.
Frequentare piscine miste non è permesso, né altri luoghi in cui uomini e donne siano abbigliati in modo indecente (seminudi) se ne derivi un peccato (haram), e per il principio di precauzione andrebbero evitati anche se non ne derivi un peccato. Domanda: “Posso guardare una donna che intendo sposare in futuro? Voglio dire guardare il suo corpo per vedere se è adatto a me o no: è possibile che se mi piace io la sposi”. Risposta: “Se c’è una probabilità che la sposi, puoi guardarla solo una volta”. C’è una contrarietà, si sa, al tenere cani. “È scritto che pregare dov’è un cane è abominevole”. Domanda. “Il pelo dei gatti nuoce alla preghiera?”. Risposta: “Se i peli di gatto sono pochi (da uno a tre) sul corpo o sul vestito di una persona, la sua preghiera è a posto, ma se ce ne sono di più, la preghiera è invalida, per il principio di precauzione”. “È permesso chattare con ragazze in internet?”. “Se c’è il pericolo che siano indotte al peccato, non è permesso. Normalmente chattare finisce col peccato da tutti due i lati”. “Èpermesso organizzare feste da ballo in cui ciascun marito balla solo con la propria moglie indossando abiti che non siano indecenti?”. “Non è permesso”. “Ho una ragazza che mi piacerebbe sposare in futuro, posso comunicarle il mio amore?”. “Ogni sorta di relazione con una ragazza, compreso scherzare, comunicare l’amore e farsi intimi è vietata, prima di consumare il contratto matrimoniale”. “È permesso a una donna andare a cavallo?”. “Non è permesso se causa un’eccitazione sessuale, a lei o a chi guarda”. “Quando una donna ha le mestruazioni (haydh) può recitare più dei sette versi del santo Corano?”. “A eccezione dei quattro versi della prostrazione obbligatoria – Sajdah – che non è permesso recitare durante lo stato di mestruazione – recitare più di sette versi del santo Corano è permesso, e secondo alcuni giuristi è disapprovato – makrooh – intendendo che il compenso per la recitazione è minore”. “Posso baciare la mia ragazza?” “Non è permesso”.
Il prossimo ha comunque qualcosa che mi piace, dice: “Posso mentire a mio marito sul mio passato?”. “Non è permesso dirgli quello che non è vero, non è obbligatorio informarlo di tutto il tuo passato, e una persona non dovrebbe far conoscere i propri peccati e segreti a nessuno”. Domanda: “Se non sono in grado di fare il Muta’h (il matrimonio a tempo) posso masturbarmi?”. Risposta: “La masturbazione non è permessa in alcuna circostanza”. Niente sex-toys, niente cosmetici, niente canzoni. “È permesso staccare una macchina che tiene in vita una persona morente quando i medici decretano che non vi sia speranza di recupero?”. “Non è assolutamente permesso”. “Se una donna ha superato i trent’anni ed è ancora vergine, deve chiedere il permesso del suo custode per il matrimonio?”. “Se non è indipendente, deve cercare il suo consenso. Anche se è indipendente, deve cercarne il consenso, per il principio di precauzione”. Eccetera.