Piccola posta
Pd, Lega, M5s. Previsioni di medio termine sul futuro del governo
L’unico pronostico certo che possiamo fare è che succederà qualcosa di imprevedibile, come ci insegna la nave incagliata a Suez: Salvini che rompe con la maggioranza, Letta che apre al M5s e ai gruppi minori di sinistra ed ecologisti. Sullo sfondo la partita del Quirinale
Vorrei azzardare qualche previsione sul futuro politico italiano. Poiché a questo punto è chiaro che sia nel breve che nel lungo periodo siamo tutti morti, mi atterrò a un periodo medio, attorno al paio d’anni. E mi ricorderò di un paio di altre condizioni. Le previsioni in generale e le previsioni politiche in particolare si scontrano con l’imprevedibilità degli avvenimenti: sembra superfluo dirlo, ma una convenzione ostinata ci induce a sottovalutare o trascurare del tutto i due fattori essenziali degli imprevisti. Quello umano: la stupidaggine degli attori umani degli svolgimenti politici. E quello naturale: gli eventi che eccedono la regolarità dei fenomeni naturali. La stupidità degli attori umani (il cui sinonimo solenne è l’eterogenesi dei fini) non fa che risplendere sulla cronaca politica. Il Regno Unito esce dall’Europa per una serie di scherzi da dozzina di politici in crisi di consensi. Matteo Salvini si fa scappare un governo sul quale spadroneggia perché ha preso troppo sole. Eccetera. La pandemia è l’esempio per antonomasia di un imprevisto naturale di portata planetaria, nel quale peraltro la tracotanza umana può rivendicare di aver messo uno zampino e riconoscere a proprio danno una rivalsa di creatura. Da quando abbiamo dovuto chiamare la nostra epoca antropocene, riconosciamo il nostro zampino dappertutto, e la pandemia è solo la manifestazione acuta di un disastro cronico appena dilazionato com’è il cambiamento del clima (ci illudiamo infatti di curare i malanni rinviandoli un po’ più in là: da tempo i campioni della realpolitik hanno insegnato che la pace non esiste, ed esiste soltanto la dilazione della guerra. Qualcosa di analogo vale anche per la nostra singola morte corporale).
E siccome viviamo in un’epoca minacciata ma spettacolare, anche per le nostre conquiste transumane, abbiamo davanti l’episodio di una nave portacontainer che fa apparire la torre di Babele come un giocattolo da bambini, la cui hybris ha sfidato non la natura, ma il taglio superbo che gli umani di poco fa hanno aperto sul deserto: un nostro mitico manufatto, un canale peraltro appena raddoppiato, ridicolizzato da un nostro manufatto ultimo, il più grosso, messo di traverso da una tempesta di granelli di sabbia. Nel canale di Suez i due fattori dell’imprevedibilità del futuro, umano e naturale, sono così aggrovigliati da non lasciar più intravvedere un bandolo cui i rimorchiatori del progresso possano afferrarsi.
Un mio amico, molto addentro alla logistica dei trasporti internazionali, mi dice di aver chiesto al titolare di una multinazionale marittima per quale ragione facesse costruire navi così assurdamente enormi, che oltretutto non rispondono ad alcun criterio di convenienza commerciale: in Italia, per esempio, potrebbero attraccare al massimo a Gioia Tauro o a Cagliari, ma non ci avrebbero niente da fare. E il grande armatore gli ha risposto: “Lo fanno anche gli altri”. Ho visto la scena di armatore e manager giapponesi della Ever Given che si inchinavano per chiedere perdono al mondo, non mi sono commosso, ho solo temuto per la loro vita.
In un servizio del Post sulla nave incagliata ho letto questa argomentazione di Ian Goldin, “professore di Globalizzazione a Oxford” (sic!): “Mentre diventiamo sempre più interdipendenti, siamo ancora più soggetti alle fragilità che compaiono e che sono sempre imprevedibili. Nessuno poteva prevedere che una nave si sarebbe incagliata nel canale, così come nessuno poteva prevedere da dove sarebbe arrivata la pandemia. Così come non possiamo prevedere il prossimo attacco informatico, o la prossima crisi finanziaria: ma sappiamo che arriverà”. Rileggete: vuol dire che l’unica previsione certa che possiamo fare è che succederà qualcosa di imprevedibile. E veniamo dunque alle mie spicciole previsioni politiche sul futuro italiano.
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In apparenza, la eteroclita maggioranza che sostiene il governo Draghi è giustificata e per così dire razionalizzata da due compiti essenziali e urgenti: debellare la pandemia e investire efficacemente la dote finanziaria stanziata dall’Europa. Anche a limitarsi a questi compiti, le divergenze sostanziali e propagandistiche fra i partiti sono vistose. Dunque è una pia illusione che il governo possa contare sull’evidenza delle cose da fare in una situazione di emergenza. Quest’ultima somiglia da vicino a un naufragio, e che cosa succeda in un naufragio a una gran nave passeggeri l’avete visto sul Titanic. La previsione più ragionevole è che a un certo punto del percorso, non tanto presto, la maggioranza si rompa, e la Lega di Salvini ne esca. Quando le elezioni si avvicineranno, Salvini non potrà più accontentarsi di giocare al governo e all’opposizione, lasciando intero a Giorgia Meloni l’usufrutto dell’opposizione. Al contrario, si proporrà di sommare la “responsabilità” della partecipazione governativa al beneficio delle mani libere sul programma del governo a venire. Si direbbe che questo sviluppo corrisponda a quello che interessa al Partito democratico.
Fra le bizzarrie, imprevedibili appunto, dell’attuale paesaggio governativo, sta l’analogia fra la figura di Draghi, onusto di successo e prestigio europeo, e di Enrico Letta, richiamato da un molto dignitoso autoesilio francese impreziosito da un incarico anch’esso prestigioso. Ambedue sono stati invitati a soccorrere la barca che faceva acqua, quella del governo per Draghi, quella del principale partito storico del centrosinistra per Letta. L’analogia, fatte le proporzioni, delle circostanze, si combina con l’affinità personale dei due e la comune impronta per eccellenza europeista.
Quella che sarebbe apparsa come una fantasiosa combinazione ideale fra due leader fortemente consentanei, e con una differenza di generazione appropriata ai rispettivi ruoli (maschi ambedue certo, ma nessuno è perfetto) è emersa, “imprevedibilmente”, attraverso una situazione di necessità. Superata una fase di maggioranza eterogenea e resa particolarmente fastidiosa dalla spregiudicatezza di Salvini, che non esita ad azzannare i polpacci di Giorgetti, la prospettiva favorita del governo di Draghi e del Pd di Letta è quella di una maggioranza sgombrata dalla Lega (altri pezzi di centrodestra, Forza Italia specialmente, potranno andare di qua o di là secondo convenienze soprattutto personali; e ai 5 Stelle provvederà il capriccio, essendo probabile che Beppe Grillo finisca sommerso dai fischi dei suoi miracolati).
Ma questo sviluppo, nel quale sembrano convergere per interessi opposti sia la Lega che il Pd, e un governo per il quale l’appoggio della Lega è una zavorra provvisoria e quello del Pd coi 5 Stelle e i gruppi minori di sinistra ed ecologisti è il retroterra naturale, trova almeno un intralcio nella scadenza intermedia – meno di un anno, febbraio 2022 – dell’elezione presidenziale. Un’altra circostanza singolare dell’imprevisto governo vigente sta nella presenza dei due più quotati candidati a succedere a Sergio Mattarella: Mario Draghi e Marta Cartabia. Singolare e, a priori, apprezzabile: perché se i due avessero avuto in cima alle proprie aspirazioni il Quirinale, avrebbero mostrato una notevole audacia accettando di passare per incarichi rischiosissimi per la rispettiva popolarità, come un governo ibrido e un ministero della Giustizia nella débacle della magistratura e delle fazioni politiche annesse. Il problema resta comunque aperto. Le scelte che il governo e i suoi ministri andranno compiendo di qui a un anno sono destinate a influire sull’elezione presidenziale, e saranno tanto più nette quanto meno si regoleranno sui voti necessari per essere eletti, se non altro dalla quarta votazione.
Detto questo: largo agli imprevisti.