Piccola posta
Un mercoledì da sonetto o da canzone, un mercoledì da cani
Pioggia, alcune faccende grigie da sbrigare, poi la gioia di ritrovarsi soli tra le navate della terza (già prima) più grande chiesa del mondo
Ero di malumore, faceva freddo, a tratti pioveva, tirava un vento gelato di grecale. Ed era mercoledì. Mercoledì è un giorno uggioso, come si direbbe qua. Nelle canzoni perciò compare di rado – di più in quelle americane, come Wednesday. In poesia ancora meno, e l’ha reso proverbiale, e proverbialmente uggioso, Marino Moretti: “Piove. E’ mercoledì. Sono a Cesena”. Giorno mercuriale, adatto ai commerci, agli affari e alle frodi, e dovevo infatti andare in banca. Così mi sono avventurato dal mio contado al centro di Firenze. La mia banca era stata chiusa per Covid.
Ci sono stato un po’, ho amiche e amici là dentro. La mia banca è vicina a piazza del Duomo, così sono andato a fare un giro. Era passata l’una, il centro era piuttosto deserto, ma questo l’avevo già visto un anno fa. Allora mi era sembrato bellissimo, ieri già metteva tristezza. C’erano i giovani militari di guardia sotto il campanile di Giotto, loro erano più allegri. Le porte della facciata erano chiuse, ma quella del fianco meridionale, dietro il campanile, era aperta, e sono entrato. C’erano quattro addetti all’ingresso, e poi nessuno. La pandemia mi aveva riservato un altro privilegio. Solo io, nella terza più grande chiesa del mondo, che fu già la prima. Io solo, in una capienza di 30 mila: c’era di che gonfiarsi della vanagloria del sopravvissuto.
Ero lì, sotto il Dante con in mano la Divina Commedia di Domenico di Michelino, nella cattedrale in cui se ne facevano pubbliche letture, dedicata a Santa Maria del Fiore – Fiorenza fior che sempre rinnovella: il mio giorno dantesco, un mercoledì. I guardiani mi hanno richiamato, si può stare solo per assistere alle funzioni, mi hanno detto gentilmente, o per pregare. Sono stato tentato di improvvisarmi pregante per protrarre quell’euforia del sopravvissuto, non l’ho fatto. Ho dato un’ultima occhiata a Giovanni l’Acuto e a Niccolò da Tolentino sui loro cavalli da giostra, e sono riuscito nel pomeriggio di un mercoledì da cani di piazza, con le code al vento.