piccola posta
L'intelligenza artificiale ci parla della mano che ha scritto il Libro di Isaia
Le nuove tecnologie applicate alla ricerca ci mettono in contatto con il passato remoto dei rotoli del Mar Morto. Anonimi scrittori di 2.300 anni fa si fanno improvvisamente vicini
Che cosa c’è di più seducente delle indagini sui rotoli del Mar Morto e in generale sui manoscritti biblici? Il lettore profano si trova di fronte a continue ultime notizie clamorose – “Un manoscritto dei Dieci Comandamenti, che però risultano undici” – e a dilemmi estremi: se sia la mano immemorabile di Dio, o di un falsario dell’altroieri.
La filologia si avvale di risorse scientifiche e tecniche che incalzano il talento stilistico. Un ampio articolo di Ariel David su Haaretz di sabato riferisce, dalla rivista “Plos One”, la ricerca di un team di studiosi olandesi che ha sottoposto la lettura di uno dei manoscritti più integri, i sette metri del Rotolo del libro di Isaia, risalenti al II sec. a.C., allo scrutinio dell’Intelligenza Artificiale. Che è in grado di comparare simultaneamente, a differenza dell’occhio umano, centinaia di migliaia di tratti nei singoli caratteri, tracce di inchiostro sulla pergamena sottostante, e distinguerne microsomiglianze e microdifferenze. (Qualcosa di simile a quello che avviene, faticosamente ma inesorabilmente, con l’avvento della genetica nei processi giudiziari). Più o meno a metà del testo, l’IA ha rilevato “un cambiamento sottile ma significativo nella grafia, la cui spiegazione più probabile postula l’intervento di due scribi differenti”. Se non fraintendo, la differenza osservata dall’algoritmo del computer (e inosservabile dall’occhio umano) è altrettanto importante della somiglianza: è cioè una differenza così piccola da far pensare che i due amanuensi siano stati addestrati a uniformare le loro grafie, “segnalando un’origine comune o una formazione condivisa”.
I primi rotoli, compreso l’Isaia, furono rinvenuti nel 1947 da un pastore beduino in una grotta vicina all’insediamento antico di Qumran, sulla costa del Mar Morto, nell’odierna Cisgiordania. Migliaia di altri frammenti furono ritrovati in seguito, gli ultimi appena un mese fa. Furono scritti fra il III secolo a.C. e il I d.C., prima della distruzione romana del Secondo Tempio, nel 70. Oggi non vengono più attribuiti soltanto alla comunità ascetica degli Esseni, ma al fermento di sette e gruppi dal quale sarebbero emersi l’ebraismo rabbinico e il cristianesimo.
Le nuove indagini si aggiungono a scoperte già acquisite, come la presenza, accanto alla maggior parte di pergamene ovine, di altre di pelle di vacca, che indicherebbero una provenienza diversa da quella del deserto di Giudea e della comunità di Qumran, dove non c’era allevamento di bovini. La ricerca olandese conclude cordialmente che, se non si conoscerà mai il nome degli scrittori dei rotoli, almeno, “dopo settant’anni di studio, ci sentiamo come se potessimo stringerci la mano attraverso la loro scrittura”. Anche il lettore profano se ne congratula, pur chiedendosi, con il frivolo diritto che dà l’ignoranza, se una quasi impercettibile variazione nella grafia non possa provenire, per esempio, da un qualche piccolo incidente ortopedico. O se la presenza di due mani educate a uno stesso stile calligrafico, dunque presumibilmente di uno stesso luogo, non confermino un’opinione abbastanza prevedibile, dal momento che la quantità e varietà di testi e il lungo tempo di composizione danno per scontato che gli scrittori siano stati numerosi, e che avessero costituito qualcosa come una scuola. E’ vero però che l’eventualità di aver distinto due mani (destre ambedue? la ricerca non lo dice) è già entusiasmante, tanto più in pandemia, e raddoppia il gesto col quale si aspetta di tornare a fare una conoscenza gradita: “Piacere”.