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Federico Umberto D'Amato, tra spionaggio e strategia della tensione
Uno dei mandanti della strage alla stazione di Bologna nel 1980, D'Amato è la "spia intoccabile" del libro di Giacomo Pacini. Affiliato alla P2, vantava una frequentazione con me. Una spiegazione contro le insinuazioni
Federico Umberto D’Amato (1919-1996), il lungo padrone degli affari riservati italiani, è tornato ai disonori della cronaca nel processo in corso per la strage del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna, di cui è indicato fra i mandanti, organizzatori e finanziatori insieme a Gelli, Ortolani e Tedeschi. Sono tutti morti. Come “quinto uomo” dell’esecuzione è imputato Paolo Bellini, già neofascista del gruppo di Parma coinvolto nell’uccisione di due giovani militanti di Lotta Continua, Mario Lupo nel 1972 a Parma e Alceste Campanile nel 1975 a Reggio Emilia. Dell’omicidio, nel 1975, di Campanile, Bellini si dichiarò autore nel 1999. Dopo di allora la sua carriera ha rivendicato altri omicidi, rapine, furti d’arte, mafia e ‘ndrangheta, e collaborazioni con inquirenti e forze dell’ordine.
Alle carte del processo bolognese sono allegate le relazioni di Aldo Giannuli, quale consulente tecnico: su D’Amato, la strategia della tensione e la storia dei servizi segreti in Italia, e sulla figura di Bellini. Era stato Giannuli, consulente allora di Guido Salvini, a ritrovare nel 1996 in un deposito sulla via Appia l’archivio degli Affari Riservati e, incompleto, del famigerato vice, Silvano Russomanno.
Intanto è uscito un libro su D’Amato di Giacomo Pacini, che già aveva scritto degli Affari Riservati nel 2010, “Il cuore occulto del potere”. Questo si intitola “La spia intoccabile” (Einaudi). Ne ho discusso a lungo in un mio scritto (brina-brillo.medium.com/ridiscutiamo-della-strage-di-piazza-fontana-di-pinelli-di-calabresi-usando-il-nuovo-libro-di-3fdeed500bf) cui desidero rimandare, anche perché torno a trattarvi del mio incontro con la spia intoccabile, che raccontai su questo giornale in due articoli del maggio 2007, sollevando scalpore e una scia ricorrente e ingorda di insinuazioni. Nelle carte allora ignote comparve poi un appunto di D’Amato che, vantando la moltitudine e la varietà delle sue frequentazioni, scriveva di essersi “fatto paurose notturne bottiglie di Cognac” con me. Sulle quali da allora si sono ubriacati in parecchi.