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Chi è un ex terrorista? Le memorie di don Mazzi
In un'intervista, don Antonio Mazzi nomina Marco Donat Cattin, che viveva con il rimorso degli anni passati in Prima linea. Disertore della lotta armata, depose le armi nell'Arcivescovado di Milano, per impegnarsi nel recupero dei tossicodipendenti
Un’intervista a don Antonio Mazzi sul Corriere serve a tornare sul punto: chi è, chi può essere, un ex terrorista. Don Mazzi, che ha appena pubblicato, in dialogo con Arnoldo Mosca Mondadori, una storia della propria vita, “La speranza è una bambina ostinata. Pensieri notturni di un sognatore centenario” (Piemme), ricorda di avere anche avuto a che fare con disertori della “lotta armata”, che per il suo tramite compirono il gesto simbolico di deporre le proprie armi nell’Arcivescovado milanese retto dal cardinale Martini. E nomina in particolare Marco Donat Cattin, che gli fu affidato per un periodo e si impegnò con i ragazzi tossicodipendenti.
Marco era figlio di Carlo Donat Cattin, il democristiano più di sinistra, più “lavorista” di tutti i tempi, ministro e vicesegretario della Dc. Marco, torinese, nato nel 1953, fu trascinato giovanissimo dal movimento del ’68, si sposò e divenne padre, diciassettenne, con una altrettanto giovane, passò per Lotta Continua e ne uscì per prendere una parte di spicco in Prima linea, l’organizzazione concorrente e rivale delle Brigate Rosse, e in alcuni dei suoi omicidi più feroci. Catturato nel 1980, fu semilibero dal 1985, per la legge sulla “dissociazione”, e libero dal 1987. Quando morì, nel 1988, don Mazzi disse di lui che “dei suoi trascorsi in Prima Linea, parlava malvolentieri: aveva forti rimorsi, viveva con dolore il ricordo di quegli anni. Una volta, mentre mi raccontava un episodio, è stato male fino a vomitare”.
Aveva dunque 35 anni nel giugno del 1988, quando morì. Guidava di notte sull’autostrada all’altezza di Verona Sud, ci fu un grave incidente, anche la sua auto ne fu lievemente coinvolta. Lui scese per soccorrere i feriti e segnalare il pericolo agli automobilisti in arrivo, e lo stesso fece una donna restata ferita in un’altra vettura. Un’auto li investì mortalmente. Disse ancora don Mazzi, ai margini del funerale: “Capisco la pazzia che ha fatto sull’autostrada, nel tentativo di salvare altre persone”. Maria Fida Moro l’avrebbe ricordato come uno “che proprio come me voleva essere ‘cancellato dalla vita’ e che è morto tragicamente una notte, cercando di soccorrere delle persone in autostrada”. Uno che non si era perdonato.