Scontri a Lod (Ansa) 

piccola posta

Un ruolo nuovo per i partiti arabi nel governo israeliano

Adriano Sofri

Sia Netanyahu che le sue opposizioni hanno considerato l'elettorato arabo-israeliano e i suoi rappresentanti come ruota di scorta. Con la loro ribellione nelle città, gli sviluppi sono imprevedibili

La crisi israelo-palestinese è intervenuta a rompere una tela dalla quale sia Netanyahu che i suoi rivali avevano espunto l’incidente palestinese. Sullo sfondo dei cosiddetti accordi di Abramo e del brillante debellamento della pandemia, a colpi di elezioni frustrate e di espedienti tattici si giocava una partita governativa nella quale ambedue le destre calcolavano di far entrare i partiti arabo-israeliani. Netanyahu, che gioca da tempo il tutto per tutto per conservare un potere che lo protegga dall’incombenza del tribunale (e, siamo in Israele, dalla galera), era ricorso in campagna elettorale a mezzi demagogici grossolani – io sono Abu Yair, il padre di Yair, si presentava agli elettori arabi…: del resto la sua linea è solo un dilazionare, guadagnare tempo, per sé personalmente e per l’intero Israele. Ma un ingresso governativo di partiti arabo-israeliani era diventato anche la carta della coalizione rivale di Netanyahu. In ambedue i programmi, i partiti arabi erano pensati come maneggevoli ruote di scorta.

 

 

Poi sono venuti gli sfratti di Sheikh Jarrah, il blocco della porta di Damasco e gli scontri sulla spianata delle moschee, i razzi di Gaza e i raid aerei, e Netanyahu ha riaffidato la propria sopravvivenza allo stato di urgenza e al nemico terrorista dal quale lucrare la propria necessità. Con Gaza, non avrebbe avuto altro problema che di ripetere l’incidente periodico: bombardare, infliggere distruzioni gravi al nemico invasato che intanto ha costruito una rete sotterranea ancora più enorme e ha ammassato ancora più razzi nel suo arsenale, e restare in sella rinviando di qualche anno la prossima puntata. Non aveva calcolato la ribellione degli arabi israeliani che va cambiando radicalmente lo scenario. A questo punto gli sviluppi sono imprevedibili. Ma una cosa forse si può dire: i politici professionali, specialmente quelli meno lungimiranti e più scaltriti, dunque i più pieni e sicuri di sé, fanno a volte delle mosse azzardate perché hanno un intralcio immediato, dall’oggi al domani, da superare, e a volte è un problema strettamente personale. Per esempio Cameron quando gioca il referendum sull’Europa, una formalità che lo restituirà alla vita privata. 

 

Qualunque svolgimento abbia l’attuale crisi israelo-palestinese, l’entrata di una componente araba nella maggioranza di governo potrebbe comunque essere una svolta di grande rilievo. Nella nuova situazione, non farebbe da ruota di scorta agli attori della rivalità fra Netanyahu e il vario mucchio dei suoi oppositori, ma porterebbe la voce della minoranza arabo-israeliana nel capitolo governativo, dopo che quella voce si è fatta sentire nelle strade solidarmente con il resto del popolo palestinese. Se succedesse, è probabile che sarebbe una reciproca spregiudicatezza a deciderne, e che da ambedue le parti si affronterebbe l’anatema dei rispettivi oltranzisti. Ma le cose possono avvenire così, quasi per sbaglio, e per la piccineria dei capi, e rivelarsi come svolte storiche solo dopo. Tanto più in un posto che ha reso per un bel po’ impraticabile tanto il programma dei due popoli e due stati quanto quello dello stato binazionale. E praticabili invece, in alternativa, o la guerra civile o una nuova convivenza.

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