piccola posta
Cosa non torna sulla morte di Musa Balde
La vicenda del giovane immigrato, pestato e morto suicida, lascia con molti interrogativi sul modo di condurre le indagini. E getta luce sui Cpr, luoghi peggiori della galera, sottratti alla vista del pubblico e dei mezzi d'informazione
Ho delle domande sulla storia di Musa Balde. Eccole.
Ci sono tre persone che l’hanno picchiato furiosamente. Tre vigliacchi, dunque. Però nelle cronache dopo la loro identificazione, quando il video con la loro impresa gira, i tre vengono descritti così: “Due siciliani originari di Agrigento, di 28 e 39 anni, e uno di 44 anni, originario di Palmi (Reggio Calabria) ma tutti domiciliati a Ventimiglia”. Benché siano residenti a Ventimiglia, cioè, sono di Agrigento e di Palmi, che suona più di un dettaglio anagrafico. Avremmo letto, per esempio, “Due veneti originari di Vicenza, e uno ligure, di Rapallo, ma domiciliati a Ventimiglia”? Infatti il razzismo, o qualcosa che gli somiglia, comprende una gamma di gradini. I tre, identificati, vengono denunciati per lesioni aggravate, a piede libero. Da chi? Non c’è la flagranza del reato, ma non c’è nemmeno la sicurezza che non lo reiterino. A vederli picchiare sembrava che avessero qualche allenamento. Li ha sentiti un magistrato, oltre che la polizia? E su che fondamento ha escluso, come si legge nelle avare cronache, l’aggravante razziale (razzista)?
I tre, di cui si ha la discrezione di non fare i nomi, se non sbaglio, sostengono – o almeno uno di loro sostiene – che Musa abbia tentato di rubargli il telefono. Musa dice di no, che chiedeva l’elemosina. E sembra di capire, da qualche raro cenno, che i tre lo abbiano aggredito dopo che aveva chiesto l’elemosina a una signora che gliel’aveva rifiutata. Ma a chi l’ha detta, Musa, la sua versione? Alla polizia, a un magistrato? Se ci sono state lesioni aggravate – documentate inequivocabilmente e disgustosamente nel video – Musa era la parte lesa, oltretutto certificata in ospedale. E la parte lesa in un processo che si dovrà celebrare, e intanto di un’indagine da completare, viene trasferita in un Cpr per essere rimpatriata? Così che indagine e processo si svolgeranno senza parte lesa?
Postilla: anche nel caso che Musa fosse a sua volta denunciato per il tentato furto, la sua sottrazione l’avrebbe privato del suo diritto a difendersi. No? Il Centro di permanenza per il rimpatrio, Cpr, è un luogo peggiore della galera. Non solo per le sue condizioni materiali, spesso. Ma perché è più della galera sottratto alla vista del pubblico e delle persone incaricate di controllare e informare. La finzione che lo distingue dalla galera è ripagata della sua brutalità. E poiché i suoi “ospiti”, detenuti, lo sono senza aver commesso alcun reato, e per la sola irregolarità amministrativa – esser privi di documenti – la loro disperazione, il loro senso di abbandono e la loro sensazione di ingiustizia sono soverchianti. Che li spingano alla rivolta o all’autolesionismo, e fino al suicidio, si tratta comunque di reazioni istigate. I centri hanno cambiato via via nome, Cpt, Cie, Cpr, restando luoghi miserabili. A cambiare era solo la durata, sempre più lunga, delle detenzioni. I nomi cambiano per la vergogna. “Centri di permanenza temporanea”, non c’era dell’estro? Cerco un centro di gravità permanente, cantava uno dei nostri, che è appena andato a cercarlo altrove. Il video della ragazza Darnella Frazier ha cambiato la storia degli Stati Uniti. Il video di Musa Balde non pretende tanto. Gli italiani sono troppo persuasi di non essere razzisti per smettere di esserlo. Però si vorrebbero ricostruire, senza smanie vendicative, così, con una moviola paziente, tutti i passi che hanno portato Musa dal marciapiede di Ventimiglia alla cella di isolamento “per motivi sanitari” (?) di Torino, dall’inizio alla fine, e le mani che ce l’hanno spinto.