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Ora sarà l'Iraq a restare senza truppe americane
Joe Biden aveva annunciato a fine luglio il ritiro del contingente militare: nella sua parte sciita diventerà ancora di più un feudo iraniano. E occhio al Kurdistan, dove emigrano sempre più arabi
Ora tocca all’Iraq. Là, il ritiro delle truppe americane, ridotte a 2.500 unità, sarà completato, ha annunciato Biden a fine luglio ricevendo alla Casa Bianca il primo ministro iracheno Mustafa al-Khadimi. Può darsi che la batosta afghana faccia ripensare a tempi e modi della ritirata dall’Iraq. Non c’è nessuna “stabilità” del paese da invocare al momento del commiato, al contrario. Qualunque presenza americana resti, in omaggio alla collaborazione nell’addestramento e nell’intelligence, l’Iraq sciita e le sue bande militari saranno ancora più infeudate all’Iran. E la rappresentanza sunnita verrà ancora confiscata dallo Stato islamico. E l’Iraq ha un peso strategico ben diverso da quello afghano.
Gli Usa fanno un’eccezione per il Kurdistan iracheno, dove hanno costantemente potenziato la presenza militare e diplomatica. Nella Regione autonoma del Kurdistan, sgangherata più che mai quanto alle divisioni fra dinastie locali e affiliazioni esterne, sta avvenendo da tempo una rilevante immigrazione araba dal resto dell’Iraq. Accolta finora senza riserve, anzi con una certa golosità perché i nuovi arrivati sono abbienti e accompagnati da forti investimenti. Qualcuno dice che la capitale Erbil, fino a poco fa pressoché interamente curda, ospita già una componente araba vicina al 30 per cento. Non sono in grado di verificare una simile percentuale, che appare inverosimile. Ne verrebbe un vero sconvolgimento nella vita pubblica della regione, compresa la rappresentanza dei partiti. Un qualche allarme ha cominciato a diffondersi da quando si è osservato che i nuovi arrivati dedicano una speciale attenzione agli acquisti di terreni per così dire edificabili (da tombe) nei cimiteri. Se si comprano spazi nei cimiteri vuol dire che si viene per restare.