piccola posta
Da Doha la violenza talebana è cresciuta ogni giorno, eravamo avvisati
L’occidente era avvertito dell’infamia incombente. Il pubblico, noi, si chiede come abbiano fatto i talebani a trionfare in modo così folgorante: ci siamo premurosamente tenuti all’oscuro di quello che avveniva prima
Qualcuno aveva dimenticato che l’ultimo ventennio della guerra afghana era per qualcuno di qua (lady Bush compresa) una guerra per le donne, e per i talebani una guerra alle donne. Un’operazione per riportare all’ovile una parte del gregge domestico scappato nel trambusto. (Nel corso dell’intero ventennio i talebani avevano conservato il controllo di gran parte del territorio). La fotografia dei capi talebani al tavolo del palazzo presidenziale di Kabul, tutti maschi, ovviamente, era una citazione involontaria e dolorosa del Cenacolo di Leonardo (tutti maschi anche i tredici dell’Ultima cena: padre, non ci indurre in tentazione). La fotografia diceva a noi che avevano vinto i talebani, alle donne afghane che i maschi avevano portato a termine la caccia.
Siamo avviliti, abbiamo bisogno di tempo. Trump che prova il golpe a Capitol Hill resta ben altra cosa dal Biden che ha vinto le elezioni, ma Biden ha rispettato l’agenda fissata da Trump e ha rivelato, notizia la più malinconica, di essere molto stupido. Lui e i suoi intimi: ogni toppa ulteriore peggiora il buco. E pensare che nel discorso sui vaccini aveva appena proclamato: “Soprattutto, è la prova che le democrazie funzionano e che, ancora una volta, l’America torna a guidare il mondo – non con l’esempio della nostra potenza, ma con la potenza del nostro esempio. (…) Noi siamo gli Stati Uniti d’America. Noi siamo pronti come mai prima. Abbiamo gli strumenti e le risorse per salvare vite a casa e nel resto del mondo. Questo siamo noi. Questo facciamo. Per questo non c’è nessuna nazione come noi sulla terra”. Altro che isolazionismo, no?
Era una guerra per le donne, alle donne. L’occidente era avvertito dell’infamia che incombeva sulle sue promesse e sul loro tradimento. Il pubblico, noi, si chiede come abbiano fatto i talebani a trionfare in modo così folgorante. Il pubblico è stato tenuto all’oscuro di quello che avveniva prima, e si è premurosamente tenuto all’oscuro. Quale valore militare doveva aver messo in campo l’armata talebana (e solo lei, non il governo di Kabul) per pretendere e meritare di trattare con gli americani (e solo loro) le condizioni del ritiro? Se non ricordate grandi battaglie campali fra esercito afghano e Nato da una parte, e armata talebana dall’altra, non datevene pensiero: non c’erano, o quasi. C’erano bensì, senza interruzione, e anzi con una crescita tumultuosa via via che procedeva la trattativa di Doha (iniziata a settembre, nessuna donna presente fra i talebani, nessuna obiezione fra i nostri, nessuna menzione di donne e diritti umani mai) attentati stragisti, assassinii mirati, assalti ai luoghi più indifesi, scuole, ospedali.
Nei primi sei mesi di quest’anno, quando era ormai annunciata la diserzione degli Usa (dunque della salmeria, la Nato) alla sola magnanima condizione che non fossero colpiti i militari americani, l’agenzia dell’Onu, l’Unama, informava che: 1.659 civili erano stati uccisi e 3.254 feriti. Il 47 per cento in più rispetto al primo semestre del 2020. Nel bimestre maggio-giugno, cioè quando era cominciata la smobilitazione internazionale, le vittime erano state numerose quanto quelle dei 4 mesi precedenti. Donne e bambini (468 bambini uccisi, 1.214 feriti) coprivano la metà delle perdite. Le forze “antigovernative” erano autrici del 64 per cento delle vittime totali: il 39 per cento i talebani, il 9 lo “Stato islamico” (Islamic State-Khorasan Province, Isil-Kp), e il 16 per cento autori indefiniti. E nello stesso semestre per la prima volta non si era addebitata una sola vittima alle forze internazionali. L’8 maggio (quando ufficialmente le truppe Usa avevano iniziato il rimpatrio) un attacco a una scuola femminile di Kabul aveva provocato 85 morti, quasi tutte fra le scolare, e oltre 300 feriti. Di questo genere era la “guerra”. (Chissà se qualcuno ricorda l’attacco del 12 maggio 2020 al reparto maternità dell’ospedale Dasht-e-Barchi, di Medici senza frontiere, a Kabul, in cui furono uccise 15 madri, 5 delle quali durante il travaglio, due bambini di 7 e 8 anni, una levatrice, e altri impiegati).
Quest’anno, in marzo, a Jalalabad, tre donne di un’emittente televisiva erano state assassinate. Pochi giorni dopo fu uccisa una dottoressa, facendone esplodere l’auto. Il 3 giugno fu Mina Khairi, 27 anni, presentatrice di Ariana News, un’altra esplosione mirata. Più tardi, sempre a Jalalabad, tre donne sono state assassinate in due agguati: andavano a piedi di casa in casa a somministrare il vaccino anti-polio… Sono di donne l’80 per cento dei suicidi in Afghanistan. E vi ricordate Farkhunda Malikzada, la giovane linciata perché un mullah l’accusava falsamente di aver bruciato un Corano? Era il 2015, la scena fu troppo filmata, ci furono alcuni condannati: ammesso che fossero ancora dentro, sono stati liberati. Da maggio, si erano contati 250 mila nuovi sfollati, l’80 per cento donne e bambini. Le agenzie competenti avevano già avvertito della “catastrofe umanitaria”. Violenza e discriminazione contro le donne sono fenomeni universali: ma la distinzione è almeno altrettanto importante della consapevolezza generale. L’Afghanistan non ha mai perso il primato mondiale del “peggior posto in cui essere donna”. Questo era il paese che abbiamo lasciato, perché la missione era compiuta.