piccola posta
Sul daspo urbano ha ragione Raimo, colpisce i disgraziati
In principio, la prevenzione suona bene. Nelle cose legali molto meno: minaccia di colpire le intenzioni prima che diventino fatti. In tempi in cui si fantastica a salve di assalti alle libertà personali, è una misura che mette a repentaglio l’habeas corpus
Christian Raimo mi spedisce un suo testo contro il daspo urbano. Lo considera una misura che colpisce soprattutto le persone marginali, i poveri, i senza tetto, e le persone che desiderano una città accogliente. Per spiegarlo meglio, si è seduto un paio di volte sulla scalinata di Trinità dei Monti “a leggere un libro” (non mi dice quale libro) e si è guadagnato due multe di 250 euro l’una. Ora io ho uno svantaggio e un vantaggio: non ho saputo finora che cosa fosse il daspo urbano, e mi sono seduto più volte sulla scalinata, negli ultimi anni 50, gratis. Ho provato a farmi un’idea. In principio, la prevenzione suona bene. Nelle cose legali molto meno: minaccia di colpire le intenzioni prima che diventino fatti.
Però c’è un caso almeno in cui da sempre, e a costo di contraddire le mie convinzioni più ferme, sono favorevole alla prevenzione più severa: il caso di uomini che minaccino vistosamente di far male alle “loro” donne. Il foglietto che vieta di avvicinarsi all’abitazione della vittima designata è irrisorio per chi abbia in serbo trenta coltellate. Ma in quel caso non sarebbe prevenzione, sarebbe il castigo appropriato per il crimine che annuncia e prepara l’assassinio.
A parte questo, quello che leggo del daspo urbano e degli esempi di applicazioni mi sembra largamente sospetto. In tempi in cui si fantastica a salve di assalti alle libertà personali, il daspo urbano mi sembra mettere a repentaglio l’habeas corpus, e specialmente il corpo di persone che non hanno altro, e il corpo che hanno, che sono, è scostumato, stride con il cosiddetto decoro urbano, dunque con la sicurezza urbana (decoro e sicurezza diventano sinonimi, nel gergo pertinente). Sarà per l’aria che soffia dall’Hindu Kush, ma nella mente mi sragiona il ministero per la Prevenzione del Vizio e la Propagazione della Virtù.
In particolare, mi chiedo che cosa succedesse alle aiuole prima di Minniti e prima di Salvini: a mia memoria, è sempre stato vietato calpestarle, a volte severamente vietato. E prima del daspo urbano (2017-2020) non c’erano modi per sanzionare i trasgressori e proteggere le aiuole? Dev’essere, mi dico, la modernità, cioè i poveri e i migranti che si moltiplicano e calpestano. Allontanato da un posto, il disgraziato deve pur andare in un altro, e la gerarchia dei luoghi che il daspo fissa è, quando non risponda a un ovvio buon senso, una beffa all’uguaglianza dei cittadini, delle persone. Il promemoria di Raimo cita “un signore del Bangladesh destinatario di ben 187 mini-daspo che rischia di essere debitore al comune di Roma di una cifra pari a 55 mila euro”. Prima o poi, vedrete, finirà in galera, lì il decoro è di casa.