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Rivista la sentenza per l'omicidio di Malcolm X, ma non dite "errore giudiziario"
Dopo 56 anni, i due condannati sono oggi riconosciuti innocenti. Si trattò di una deliberata e cinica scelta dell'iniquità. E c’è il rinnovato rimpianto per Malcolm X, e la sua vita – la sua leggendaria Autobiografia – spezzata quando non aveva ancora 40 anni
Il riconoscimento formale di un’ingiustizia, anche il più tardivo e irreparabilmente postumo, è lodevole, a condizione che non si trinceri dietro la nozione dell’“errore giudiziario”, quando si è trattato di una deliberata, cinica scelta dell’iniquità. Succede ora con la riparazione alla sentenza sull’assassinio di Malcolm X, dove l’errore giudiziario ha un suono oltraggiosamente dolciastro. Penso in generale che l’errore giudiziario sia più raro dell’ingiustizia volontaria. Il sistema della giustizia è così articolato e coinvolgente che i suoi amministratori sono spesso mossi inizialmente dall’errore, e diventano poi riluttanti fino all’ostinazione cinica e ottusa ad ammetterlo e tornare indietro. L’errore rincarato per non essere riconosciuto e fatto dolo.
Nella storia di Malcolm X, c’è il raccapriccio per la sorte inflitta a due innocenti riconosciuti tali dalla giustizia – fuori quel riconoscimento era avvenuto da tempo, e da fuori le è stato imposto – 56 anni dopo, quando uno è morto e l’altro è un vecchio uomo dalla vita deragliata. E c’è il rinnovato rimpianto per Malcolm X, e la sua vita – la sua leggendaria Autobiografia – spezzata quando non aveva ancora 40 anni. Qualcuno, forse lo stesso coautore, Alex Haley, evocò per quell’autobiografia le Confessioni di Agostino, e la vita di Malcolm X viene ricordata come la storia di una conversione. Al contrario, fu una vicissitudine di conversioni ininterrotte, di conquiste e distacchi, a partire da un inizio terribile dal quale divincolarsi, restandogli fedele. Malcolm X non fu ucciso per punire il suo passato ma per sventare il suo futuro. Non c’è niente di compiuto nella storia di Malcolm X, ed è ancora quella la sua forza.