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L'omicidio di Alceste Campanile e il filo nero che lo lega alla strage di Bologna
Universitario, militante di Lotta Continua, ucciso a 21 anni a pochi chilometri da Reggio Emilia. Al processo per la strage di Bologna mercoledì, l'ascolto dell'unico imputato vivo Paolo Bellini ha gettato luce sul delitto
Mercoledì, al processo nella Corte d’assise bolognese ai mandanti dell’attentato alla stazione del 2 agosto 1980, è stato ascoltato per sei ore Paolo Bellini, l’unico imputato vivo per il concorso nella strage. Bellini, 68 anni, ha un record mostruoso di crimini di sangue, legati alla militanza neofascista, alla mafia, alla ’ndrangheta, alla criminalità cosiddetta comune e alla “collaborazione” con apparati di polizie. Nel 1999, arrestato per altre circostanze, si dichiarò anche autore dell’assassinio di Alceste Campanile. Campanile aveva 21 anni quando fu ucciso, la sera del 12 giugno 1975, sulla strada che va da Sant’Ilario a Montecchio, a pochi chilometri da Reggio Emilia. Era un ragazzo molto amato, universitario a Bologna, militante di Lotta Continua, impegnato soprattutto nelle attività culturali, artistiche e spettacolari, dei “Circoli Ottobre”. Quando era ancora liceale aveva avuto simpatie di destra, che gli procurarono l’ostilità e gli insulti pubblici per aver “tradito”, da parte dei fascisti di Parma e di Reggio (tre anni prima, il 25 agosto del 1972, a Parma, un altro militante di Lotta Continua, Mario Lupo, diciannovenne, immigrato dalla Sicilia, operaio, era stato pugnalato a morte all’ingresso di un cinema da aggressori fascisti, identificati e poi condannati).
L’indagine sull’assassinio di Alceste fu lunghissima e penosissima. Alla prima convinzione sulla matrice neofascista si sovrappose l’ipotesi di un legame col sequestro e l’uccisione di Carlo Saronio da parte di persone legate alla cosiddetta autonomia: Alceste ne sarebbe venuto casualmente a conoscenza e sarebbe stato eliminato per questo. I sospetti più torbidi vennero sollevati e alimentati da malvagie speculazioni. La confessione di Bellini fu accreditata nei successivi gradi di giudizio, nel 2007 e nel 2009: ridotto l’omicidio premeditato a omicidio volontario e con l’attenuante della confessione, il reato, per il quale l’accusa aveva chiesto 30 anni, era stato dichiarato prescritto.
La pubblica accusa di Bologna ha voluto meticolosamente riascoltare Bellini sul punto, col proposito di dimostrarne l’organica militanza in Avanguardia Nazionale, premessa dell’imputazione per la strage. Era la prima volta che il racconto di Bellini sull’uccisione di Alceste veniva svolto in un dibattimento.
Si era deciso, dice Bellini, di impartire ad Alceste una durissima memorabile lezione, un fracco di legnate, ma poi si passò all’ordine, da parte dei referenti di Avanguardia Nazionale locali e soprattutto di Massa Carrara, di ucciderlo. L’esecuzione non sarebbe toccata a Bellini, che una sera, in giro in auto per individuare il luogo più adatto all’agguato, in compagnia di un commilitone fascista, Roberto Leoni, ebbe “la botta di culo” – è l’espressione testuale verbalizzata e ripetuta in aula – di imbattersi in Alceste che faceva l’autostop, costringerlo a salire, e poi scegliere il luogo in cui farlo scendere e inginocchiare e sparargli alla testa e al cuore. Non ho spazio qui per raccogliere i dettagli del racconto di Bellini e tantomeno le sue manifestazioni di sentimenti. Né per verificare passaggi sconcertanti. Bellini dice di aver sparato un colpo, e di aver lasciato il secondo a Leoni, anche per essere sicuro di coinvolgerlo interamente, e che avevano (se non ho frainteso) una sola pistola. A suo tempo si era detto che i colpi appartenessero a due armi diverse. E nei processi in cui Bellini è stato creduto e condannato (e prescritto) il Leoni, così come gli altri chiamati in correità, è stato prosciolto.
A questo punto è arrivata finora una vicenda angosciosa, per la commozione suscitata dal destino di Alceste e per i sospetti, i sentimenti e i risentimenti avvelenati che la attraversarono.