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La prima stesura dei falsi Protocolli dei Savi di Sion fa luce sull'autore
Paola Cioni, direttrice dell’Istituto di cultura italiana di San Pietroburgo, lo scorso 25 agosto informava dell'importante ritrovamento archivistico: il prototipo originale del famigerato falso storico. Gli esiti della analisi smentiscono la versione poliziesca dell’origine
Lo scorso 25 agosto sul Corriere della Sera, nello spazio curato da Dino Messina, Paola Cioni, direttrice (“direttore”, preferiva lei) dell’Istituto di cultura italiana di San Pietroburgo, informava di un importante ritrovamento archivistico: “Ritrovato il prototipo originale dei falsi Protocolli dei Savi di Sion”. Nel testo lo si citava come “il dattiloscritto originale”, custodito nella Biblioteca Lenin di Mosca, nell’archivio privato di un alto funzionario statale, V. V. Vorontsov-Dashkov. L’ha rinvenuto casualmente là un ricercatore interessato ad altri temi, G. B. Kremnëv, e lo ha segnalato a “una delle maggiori esperte russe dell’argomento, L. U. Bibikova”. Sul dattiloscritto, continuava Cioni, “sono state apportate una serie di correzioni e aggiunte a mano che hanno portato la storica a stabilire con certezza che si tratta della prima stesura del falso. Tra le 13 aggiunte a mano, infatti, 5 corrispondono alla lettera al testo di M. Joly”. Maurice Joly, com’è noto, pubblicista e avvocato francese, aveva pubblicato senza firma nel 1864, a Bruxelles, un formidabile pamphlet satirico contro Napoleone III col titolo “Dialogo all’inferno fra Machiavelli e Montesquieu”. Il testo di Joly fu poi letteralmente e vastamente copiato, e piegato al fanatico antisemitismo, dai fabbricatori dei falsi Protocolli. La notizia sul ritrovamento veniva a cento anni dallo smascheramento del falso a opera del corrispondente del Times da Istanbul, Philip Graves, che in una serie di articoli dell’estate 1921 aveva documentato in particolare il plagio dall’opera di Joly.
La comunicazione sul Corriere era inevitabilmente sommaria. L’autrice segnalava la corrispondenza fra il documento inedito e la tesi argomentata da Cesare Giuseppe De Michelis, il più importante studioso italiano dei Protocolli – il suo libro capitale è “Il manoscritto inesistente. ‘I Protocolli dei Savi di Sion’: un apocrifo del XX secolo”, Marsilio 1998, che ha avuto numerose riedizioni e traduzioni. De Michelis vi confutava l’opinione sull’origine del falso in una compilazione francese della polizia segreta zarista, l’Ochrana, nel 1897, assegnandola invece a una cerchia monarchica e antisemita in Russia nei primissimi anni del Novecento.
Paola Cioni, stimata e amata per la sua molteplice attività di studiosa e di animatrice culturale, è morta improvvisamente a San Pietroburgo il 7 novembre, a 58 anni. La notizia che aveva diffuso, come tutto ciò che riguarda i Protocolli, suscitava un forte interesse. Non ne avevo trovato riscontri in rete, probabilmente per mia inettitudine, ma il 16 ottobre l’Istituto di Cultura di San Pietroburgo aveva ospitato sulla sua pagina Facebook una sessione sul tema, con la partecipazione a distanza di De Michelis e Bibikova. La discussione, ancora interlocutoria, era complicata (almeno nella mia visione) da qualche disturbo nella registrazione: e oltretutto non riesco più a ripescarla dal sito dell’Istituto. De Michelis aveva comunque dato una sua prima notizia: “Protocolli dei savi di Sion. Ritrovato il protografo”, in “Studi slavistici”, XVIII, 2021, 1, pp. 253-255. Vi si legge che dalla presentazione di Ljubov’ Vladimirovna Ul’janova-Bibikova, “docente all’Università Statale di Mosca e candidata di Scienze storiche”, si ricava che “chi ha corretto a mano l’esemplare a macchina doveva essere all’origine della compilazione (e in tal senso può essere considerato il protografo dei protocolli)”. Una delle peculiarità indicate dalla Ul’janova è che le numerose note manoscritte sono vergate da una grafia molto affine a quella di Georgij Butmi, che pertanto – malgrado le numerose modifiche – può essere considerato l’autore o uno degli autori”.
Conclude provvisoriamente De Michelis: “In attesa della possibilità di effettuare una diretta autopsia di questo testimone, che ovviamente comporterà una diversa ipotesi stemmatica della sua trasmissione, si può fin d’ora dire che la ricerca di vent’anni fa viene confermata in due punti essenziali: che viene definitivamente smentita la versione poliziesca dell’origine dei Protocolli (che, a detta della Ul’janova, risulta ‘un mito storiografico inconsapevolmente sorto nell’ambiente dell’emigrazione liberale di sinistra degli anni 1920-1930), e che come avanzato dall’estensore di questa nota (anche sulla base d’un riscontro documentario, la testimonianza di G. Verchovskij), il promotore e in gran parte compilatore dei Protocolli sia stato Georgij Butmi”.