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Vive ancora la memoria della strage nazifascista a Sant'Anna di Stazzema
Il 12 agosto 1944 reparti delle SS accompagnati da fascisti italiani massacrarono deliberatamente 560 civili, soprattutto vecchi, donne e bambini. Tutto obliato fino al 1994. Uno degli ultimi sopravvissuti, Enrico Pieri, è morto il 10 dicembre: ha passato gli ultimi anni impegnato nel ricordo
Nei primi anni 60, ancora studente, cominciai a insegnare al liceo di Massa, e diventai amico di un professore più anziano che si chiamava Salvatori ed era sindaco socialista di Seravezza, in Versilia, e da lui sentii per la prima volta il nome di Sant’Anna di Stazzema, senza rendermene davvero conto. Pochi anni prima erano stati chiusi in un armadio 645 documenti di indagini sulle atrocità nazifasciste in Italia: “archiviati provvisoriamente”, e per maggior sicurezza con le ante chiuse contro la parete. Da quell’“armadio della vergogna” (lo chiamò così Franco Giustolisi) vennero fuori solo nel 1994.
A Sant’Anna di Stazzema il 12 agosto 1944 reparti delle SS accompagnati da fascisti italiani massacrarono deliberatamente 560 civili, soprattutto vecchi, donne e bambini, almeno 107 bambini – molti uomini erano fuggiti, persuasi di essere i soli bersagli del rastrellamento. Non fu un’azione di rappresaglia, bensì di puro terrore. Alla frazione si saliva solo a piedi, o per le mulattiere: ai nemmeno quattrocento abitanti locali si erano aggiunti molti più sfollati, convinti di trovarvi un rifugio sicuro. Come sarebbe successo a Srebrenica: qui però gli assassini non si compiacquero, come a Srebrenica, di sterminare ragazzi e uomini e graziare donne e bambini: uccisero anche i neonati e i non nati nel grembo materno. (Ci fu bensì l’episodio di un giovanissimo soldato tedesco, lasciato solo a mitragliare la gente ammassata davanti alla chiesa, che li fece scappare e sventagliò le sue raffiche in aria).
Per tutto il tempo in cui gli armadi repubblicani restarono chiusi e le tombe coperte, i superstiti di Stazzema si tennero il proprio dolore, esacerbato dall’oltraggio. Poi ci fu finalmente un processo, una condanna definitiva, nel 2007 (non in Germania però), una consacrazione, e i testimoni non smisero più di raccontare. Uno degli ultimi di loro, Enrico Pieri, è morto il 10 dicembre, a 87 anni. Presiedeva l’Associazione Martiri di Sant’Anna di Stazzema. Il 12 agosto aveva 10 anni, nella sua casa furono trucidati i genitori, due sorelle, nonni, zii e cugini; lui si salvò insieme a una tredicenne, Grazia Pierotti, che lo chiamò a nascondersi in un sottoscala, e ne uscirono appena in tempo per non soffocare nell’incendio appiccato dai carnefici. Quella casa è ora dell’Associazione, cui Pieri l’ha donata.
Nel 2011 il parlamento europeo aveva premiato Pieri come Cittadino europeo dell’anno. Un anno fa Mattarella l’aveva nominato commendatore, e la Repubblica federale tedesca cavaliere, insieme all’altro superstite, Enio Mancini, di tre anni più giovane e altrettanto impegnato alla memoria. Piero era emigrato per decenni in Svizzera, rientrando a Pietrasanta negli anni 90. La dedizione con cui nell’ultima parte della vita ha testimoniato per le vittime della strage e contro le radici di quella ferocia gli ha meritato ammirazione e riconoscenza finalmente larghe. Ancora più commovente è immaginare il ragazzo e poi l’uomo che per tanto tempo, e in tanti luoghi diversi, vive portandosi dentro in silenzio il bambino di dieci anni e il suo giorno fatale. Un’esperienza simile Enio Mancini ha raccontato in innumerevoli interviste, lezioni, e nel libro: “Sant’Anna di Stazzema 12.08.1944. Lo hanno fatto anche a te” (Dissensi ed., 2013). Con il museo di Mancini, nel 1999 la giornalista e scrittrice Christiane Kohl pubblicò (su Repubblica in Italia) un notevole articolo: “Parla il boia di Sant’Anna. ‘Così uccidevamo gli italiani’”.
La pubblicistica, i documentari, i film (compreso quello di Spike Lee, “Miracolo a Sant’Anna”, 2008), gli studi storici sono ora numerosissimi. Cito per tutti Paolo Pezzino, “Sant’Anna di Stazzema. Storia di una strage” (Il Mulino, 2013). Raccomando in particolare il libro dell’antropologa Caterina Di Pasquale, “Il ricordo dopo l’oblio. Sant’Anna di Stazzema, la strage, la memoria” (Donzelli 2010), per la ricca e appassionante raccolta di testimonianze orali, oltre che delle altre fonti. Una legge toscana del 1999 aveva patrocinato la memoria sulle stragi nazifasciste, affidandone la ricerca a Pietro Clemente e a Fabio Dei. Fra i giovani ricercatori, Di Pasquale si incaricò di Sant’Anna, “perché aveva la patente”. Anche la storia era salita fino al paese solo il 12 agosto 1944, a piedi. Cominciò così il suo “Viaggio etnografico nella memoria” durato 8 anni. Incontrò la nostalgia, il risentimento e la diffidenza che erano derivati dalla lunghissima rimozione. E, frase inquieta, “la memoria di chi, prima, ha vissuto il fatto, e poi, dopo decenni, lo ha compreso”.