piccola posta
Accapigliarsi su Sorrentino significa essere ancora capaci di appassionarsi
Gli antenati degli italiani contemporanei stavano per Giotto o per Simone Martini, litigavano fra rossinisti e verdisti. E un artista, come dev'essere, fa gridare gli uni al capolavoro e gli altri all'impostura
L’accanimento con cui ci si accapiglia attorno alla Mano di Dio di Sorrentino induce a congratularsi degli italiani contemporanei. Capaci di appassionarsi a un’opera e al suo autore con la competenza e la faziosità con cui gli antenati festeggiavano una Maestà di Duccio, stavano per Giotto o per Simone Martini, spiavano la liberazione del David dal disgraziato blocco di marmo, litigavano fra rossinisti e verdisti. E congratularsi di un artista che, come dev’essere, fa gridare gli uni al capolavoro e gli altri all’impostura. Poi, porca miseria, viene un altro pensiero: che questo gran daffare somigli al chiasso attorno al vaccino. Io sto dalla parte (sono un tipo partigiano) di Sorrentino e del vaccino, con un solo dubbio che riguarda l’ironia e il rischio della sua carenza. All’inizio del film, quando san Gennaro invita zia Patrizia a chinarsi per baciare il capo del munaciello e ne approfitta per afferrare il magnifico culo di lei, ho pensato: ah, è questa la mano di Dio. Chissà se era così.