piccola posta
Quando è morto un mio caro amico, ho capito di non averlo mai visto solo
Non stava mai senza la sua donna, né lei senza di lui. Dipendeva certo dal loro amore, e da una dedizione di lui a lei che lo trasformava nella sua ombra, riservata e protettiva
È morto a Firenze un mio caro amico e, come succede, sono andato dietro ai ricordi. Si chiamava Francesco, era un uomo straordinariamente gentile, e di una mite tenacia. Era bello, anche da vecchio – siamo vecchi, infatti – con una fisionomia da Garibaldi a Caprera. Aveva una quantità di doti, di costruttore, restauratore, falegname e fabbro per utilità e per gioco, sapiente con figli nipoti e animali, giardiniere, artigiano di teatro e di moda, cuoco, collezionista di cose d’arte e di manufatti di mestiere. Aveva uno stanzone antico a fare da cucina, antro di Vulcano e bottega di Mastro Ciliegia. Di una vecchia radice d’albero labirintica aveva fatto un’insegna di benvenuto. A rendere speciale il mio ricordo è stato accorgermi, dopo una frequentazione di tanti anni, che non l’avevo mai visto solo, senza la sua donna, né lei senza lui. Ci ho pensato e ripensato: non era mai successo. Nemmeno quando venivano a farmi visita in una galera. Dipendeva certo dal loro amore, e da una dedizione di lui a lei che lo trasformava nella sua ombra, riservata e protettiva. Grande lui, lei è minuta e brillante, con un talento di inventrice di stoffe preziose e costumi, e disegnatrice e pittrice. Stavano gelosamente insieme come un albero e una pianta da fiori. Da ieri penso che la prossima volta sarà la prima volta in cui vedrò la mia amica Lietta da sola. Ma oggi, se leggerà queste righe, lei vorrà rimproverarmi con il suo tono di ragazza: come puoi dire una sciocchezza del genere, lui ci sarà.