piccola posta
"Peaky Blinders" sarebbe piaciuta al Vittorio Foa degli studi inglesi
La classe operaia è un movimento spurio, nel quale entrano non come scorie da depurare luddisti e profeti religiosi, prostitute e banditi e calzolai radicali, irredentisti e donne libere e bricconi. E ci si rammarica che tutti loro non possano vedere questa serie
Caro C., un lungo accidente ortopedico che mi rende inefficiente ha in compenso incrementato il ricorso alla modernità: per la prima volta ho imparato a servirmi dell’applicazione Dettatura. Ma l’acquisto più rilevante, e l’enormità del tempo investito, riguardano una seconda immersione nelle serie, e in particolare di “Peaky Blinders”, che ho guardato per intero, e ora aspetto l’arrivo della sesta stagione, l’ultima, senza la zia Polly che è morta anzitempo. Tu, che sei sempre stato esperto e appassionato di cinema, non guardi quasi mai la televisione, e anche così si spiega il tuo rendimento intellettuale e la vigorosa salute mentale. Questo è però uno dei casi in cui raccomanderei un’eccezione.
In generale, non guardare le serie è un po’ come, nell’Ottocento, non leggere i romanzi d’appendice. L’affinità fra le serie e i romanzi d’appendice è fin troppo evidente. Ma anche la differenza. I romanzi e anche i libri di storia sono essenzialmente opere di un solo autore, e le serie, evoluzione del cinema, hanno numerosissimi autori e interpreti, e si valgono di una varietà e grandiosità di mezzi incomparabile. Così, simili nel meccanismo del coinvolgimento al feuilleton, sono probabilmente più simili per lo spiegamento di risorse umane e materiali al melodramma.
“Peaky Blinders” (con una gran colonna musicale) ha un’ambizione storica, passata attraverso vicende personali e famigliari travolgenti e tranquillamente disinteressate alla verosimiglianza, che comprendono resurrezioni (morti ammazzati che non lo erano davvero, ultimo l’Alfie Solomons redivivo nella sesta stagione, personaggio e attore formidabili), bagliori pittoreschi di fornaci esplosioni roghi e braci di sigarette, alluvioni cruente, visioni incubi e presagi. E insieme la storia, la classe operaia di Birmingham, la grande guerra e la mutazione dei suoi scampati, i poveri, la malavita gitana, ebraica, siciliana (la più debole, il bravissimo Adrien Brody che qui involontariamente richiama Johnny Stecchino), gallese e l’intera gamma irlandese, il sottoproletariato, l’aristocrazia britannica e quella rom unite dalla venerazione dei cavalli, la violenza contro bambini e donne e la loro ribellione, sovietismo, laburismo, conservatorismo imperiale di Churchill, fascismo di Oswald Mosley…
Chi ha letto Edward P. Thompson ed Eric Hobsbawm e ha imparato che la classe operaia è un movimento spurio, nel quale entrano non come scorie da depurare luddisti e profeti religiosi, prostitute e banditi e calzolai radicali, irredentisti e donne libere e bricconi, si rammarica che non possano vedere la storia raccontata per lo schermo. In particolare, mi sono detto che “Peaky Blinders” piacerebbe molto al Vittorio Foa dei prediletti studi inglesi, della “Gerusalemme rimandata” (1985) che sua figlia Bettina ha appena ricordato, raccontando la loro lunga corrispondenza, come il suo libro più amato.