piccola posta
Auguri al dimissionario capo del Dap, ma perché queste pensioni sono così alte?
La direzione del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria garantisce lo stipendio, le indennità e gli emolumenti più ricchi di tutta la pa. È difficile capirne la ragione. Torniamo a chiedercelo in occasione del saluto a Bernardo Petralia, uomo di buona volontà
Il capo del Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Bernardo Petralia, ha annunciato oggi le sue dimissioni, con un anno di anticipo sulla data di scadenza del suo incarico, spiegando il suo desiderio di dedicarsi alla famiglia: “Ho 69 anni, mi è nata una nipotina, sono nonno”. Benissimo: un sigaro e un titolo di nonno non si nega a nessuno. Petralia, già membro del Csm, nominato meno di due anni fa in sostituzione di Francesco Basentini, aveva soprattutto un’esperienza di inquirente antimafia. Nell’incarico al Dap ha mostrato, come spesso succede, di vivere la dimestichezza col carcere e le visite frequenti come una dolorosa rivelazione: “Delle volte ho difficoltà a dormire per quello che vedo: detenuti che parlano di acqua calda e di un water come fossero lussi”. Intervenendo al congresso di Nessuno tocchi Caino nel carcere di Opera si era detto triste per il bilancio della sua stagione ministeriale. La ministra Cartabia gli ha rivolto un affettuoso saluto. Anche Rita Bernardini è persuasa di essersi trovata di fronte a un uomo di buona volontà.
Arrivare a dirigere il Dap è, con poche eccezioni (presto affossate, come nel caso esemplare di Sandro Margara), una specie di coronamento onorario della carriera, remunerato con lo stipendio le indennità e la pensione più alta dell’Amministrazione pubblica, e anche per questo di sbrigativo avvicendamento. Un po’ come diventare presidenti della Corte costituzionale alla vigilia del pensionamento. Dal 1991 i capi del Dap (che sono anche, in quanto capi della Polizia penitenziaria, equiparati ai comandanti generali degli altri tre corpi di polizia) sono stati 13 più tre reggenti. Prima dell’entrata in vigore del tetto di 320.000 euro mensili per la Pubblica amministrazione – l’equivalente dello stipendio del Primo presidente di Cassazione – un direttore del Dap era arrivato a percepire più di 550 mila euro al mese. Emolumenti, se non fraintendo, di portata vitalizia, dal momento che sono pensionabili, e che non sono condizionati alla durata dell’incarico. Non so quali siano le radici storiche di un così sontuoso trattamento: un tempo, quando si voleva garantirsi il contributo dei poveri di famiglia, si sarebbe pensato che incarichi così esposti andassero preservati dalle tentazioni.
Sta di fatto che una condizione di forte privilegio è in proporzione con la forte inefficacia. Si va al Dap a chiudere una carriera, e al diavolo acqua calda e water dei detenuti. I capi del Dap provenienti con merito dalla magistratura di sorveglianza, dunque da una effettiva conoscenza di galere e carcerati e carcerieri, sono un paio in tutto. Del resto anche i magistrati e le magistrate di sorveglianza sono ancora in maggioranza di passaggio, e solo per una minoranza, ma preziosa, guidati da una vocazione: è un po’ quello che succede nelle scuole con le e gli insegnanti di sostegno. Mestieri vicinissimi, salvo il trattamento previdenziale.