Papa Francesco a "Che tempo che fa" domenica sera (Ansa) 

piccola posta

Fretta e furia, nomi raccapriccianti per l'operato della giustizia

Adriano Sofri

Il Papa ha invocato il diritto di tutti al perdono. Qui si aspetta il giudizio del tribunale francese per l'estradizione di uno dei latitanti ex terroristi: una magistrata di Milano lo aveva dichiarato "delinquente abituale", uno che non commette reati da 44 anni. Qualcuno l'ha anche lodata per la rapidità

Il Papa Francesco dice che ogni creatura umana ha il diritto di essere perdonata. Si può dubitarne, o robustamente obiettare, se si incorre nell’apparente corollario logico per cui ogni essere umano ha il dovere di perdonare. Al contrario, la prima cosa è vera, la seconda no. L’incomprensione di questa apparente contraddizione divide malamente il mondo. Il tema è solenne, ma vediamone una piccola applicazione. C’è uno dei riparati in Francia, la cui estradizione sta così a cuore alle autorità italiane. Non l’ho mai conosciuto, si chiama Luigi Bergamin, ha 73 anni, fu condannato a 23 anni per “concorso morale” (ne scontò 7) in due omicidi attribuiti a Cesare Battisti, con le attenuanti dovute al riconoscimento che aveva ripudiato la sua militanza armata. Aveva allora 29 anni, ne sono trascorsi 44 dai fatti, 32 dall’ultima sentenza. Per 44 anni, quasi i due terzi della sua vita, non ha commesso alcun reato. Per lui sarebbe intervenuta la prescrizione l’8 aprile scorso, nei giorni stessi in cui il gruppetto dei superstiti rifugiati, quelli che non erano ancora morti di malattia o di vecchiaia o di suicidio, venivano clamorosamente arrestati e subito rimandati a casa, in attesa delle pratiche ulteriori.

Una magistrata di Milano, per sventare la prescrizione, lo dichiarò “delinquente abituale”. Ho letto la descrizione di questa fattispecie nelle pubblicazioni pertinenti, ma basta il senso comune per reagire all’idea che una persona che da 44 anni non commette un reato sia dichiarata dedita abitualmente al delitto. Infatti la Corte d’Assise milanese, chiamata a pronunciarsi, decretò, a maggio, la prescrizione. Allora la sostituta della procura milanese per l’esecuzione penale, Adriana Blasco, si è appellata alla Cassazione. La Cassazione le ha risposto che doveva rivolgersi alla Corte d’Assise. La Corte d’Assise, a luglio, le ha dato torto confermando l’avvenuta prescrizione. Allora ha ricorso in Cassazione. Qualche giorno fa la Cassazione le ha dato ragione, sentenziando senza rinvio che i reati di Bergamin non sono prescritti essendo lui un delinquente abituale. D’ora in poi, in Italia, delinquente abituale non sarà più chi è dedito abitualmente al delitto, ma chi, a parere di un magistrato o di un tribunale, è come se lo fosse. Anche dopo 44 anni illibati, anche 40 anni dopo aver avuto le attenuanti per l’abbandono delle pratiche illegali. Staremo a vedere che opinione se ne farà il giudice francese che in aprile prenderà in esame il caso di Bergamin.

In Italia, di una simile inversione linguistica e logica, non si è quasi parlato, se non nelle rare sedi in cui ci si preoccupa delle garanzie giuridiche, o all’opposto in quelle in cui ci si rallegra della loro disfatta. Un giornale ha elogiato la magistrata per aver operato “in fretta e furia” così da sventare la prescrizione. Fretta e furia sono due nomi raccapriccianti per l’operato della giustizia. Della stessa magistrata ho letto, sul sito di Magistratura Indipendente, un saggio sull’ergastolo ostativo dopo le sentenze della Cedu e della Corte Costituzionale, per raccapezzarmi meglio sulla sua ispirazione. L’autrice, che svolge il suo tema in modo problematico, riassume così la posizione della Cedu contraria all’ergastolo ostativo: “A giudizio della Corte si finisce così, di fatto, per fondare un giudizio di perpetua pericolosità sul solo momento della commissione del fatto di reato e della successiva condanna – corsivo mio – dal momento che qualunque mutamento della personalità del detenuto risulta irrilevante in presenza del mancato rispetto della condizione della collaborazione, che impone al magistrato competente di dichiarare ex lege inammissibile la domanda, impedendogli di valutare nel merito i progressi compiuti nel percorso individuale del detenuto, in termini di reinserimento e di revisione critica, e la sua evoluzione verso la risocializzazione”. Mi chiedo che cosa potrà dire la Corte di una perpetua – “abituale” – pericolosità fondata su 44 anni ligi. 

Torniamo al Papa Francesco, il quale è contrario all’ergastolo e non si stanca di dirlo, né potrebbe essere diversamente per chi crede che ciascuna persona abbia “il diritto umano di essere perdonato” – benché, come penso, a nessuno possa essere imposto il dovere di perdonare. 

Giorni fa, in udienza generale, Francesco aveva ripetuto che “non può esserci condanna senza una finestra di speranza”, e richiamato, come da Fazio, la parabola del padre misericordioso, riferita “in modo particolare ai nostri fratelli e le nostre sorelle che sono in carcere. E’ giusto che chi ha sbagliato paghi per il proprio errore, ma è altrettanto e più giusto che chi ha sbagliato possa redimersi dal proprio errore... Il figlio si aspettava una punizione, ma si ritrova avvolto dall’abbraccio del padre. La tenerezza è qualcosa di più grande della logica del mondo, ma è un modo inaspettato di fare giustizia”. Si dirà, lo dico anch’io, che il Papa è il Papa, e che un giudice laico o una sostituta della procura non può operare secondo il paradosso della tenerezza: però neanche della fretta-e-furia.