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L'uomo in ginocchio e quello che mette in allerta la deterrenza atomica

Adriano Sofri

Da una parte un ucraino, giovane o anziano chissà, che prova a fermare i carri armati a mani nude. Dall'altra un signore, lui anziano, la faccia penosamente gonfia, che ordina ai generali di mettere mano alle bombe nucleari. Quante cose può fare un singolo uomo

Due figure, nello stesso giorno. In una c’è un uomo ucraino, non so se giovane o anziano, vestito da inverno, alla buona, inginocchiato davanti a un carro armato russo. Il tank si è fermato, dei soldati ne sono scesi, imbracciano i fucili, non sanno che cosa fare. Nessuno ha detto loro che cosa fare se un uomo ucraino, uno che per giunta parla la loro lingua, si mette in ginocchio, le mani basse, sulla loro strada. Probabilmente nessuno ha detto loro che cosa fare in generale, e perché. Nello stesso giorno un uomo russo, Vladimir Putin, il loro capo, lui anziano, la faccia penosamente gonfia, ordina a due alti generali inebetiti di mettere in allerta la deterrenza atomica della Russia. Quante cose diverse può fare un singolo uomo – una singola donna. 

È passato parecchio tempo da quando si è coniato il termine di antropocene, e già si fa a gara ad aggiornarlo e soppiantarlo, le epoche al giorno d’oggi durano un quarto d’ora. A Hiroshima si scoprì, fra orgoglio e raccapriccio, che “l’uomo” era diventato capace di emulare la creazione nel suo punto finale, di distruggere il suo mondo per mano militare, in un solo colpo: sei giorni per la creazione, uno per l’annientamento, e neanche un sabato per riposare. Deve diventare un tabù, si giurò: Mai più Hiroshima. (Nagasaki era solo una coda, un chiodo ribadito). Andò bene, per così dire. Le bombe atomiche proliferarono più o meno, il mondo ebbe uno sviluppo formidabile, “l’uomo” sperimentò l’altro significato dell’antropocene, l’epoca in cui la fine del suo mondo non sarebbe venuta in un colpo solo, manu militari, ma un po’ alla volta, per effetto del suo modo di vita pacifico, del progresso: la schiuma da barba spray, Chernobyl, la plastica, il CFC del frigo, Fukushima, la dieta carnivora… L’atomica passò di moda: l’assicurava la sua stessa enormità, era troppo grossa per esplodere, come si dice (a torto) delle banche. 

Il mondo di oggi è senza precedenti anche per la contemporanea esistenza in vita di giovani e vecchi: fino a poco fa si moriva di vecchiaia all’età in cui oggi ci si chiama ragazzi. C’è un divario sensazionale nelle rispettive memorie, e specialmente nella paura della bomba. Chi è cresciuto nell’intimità di quella paura, sospesa sulle sue notti di bambina o di bambino, ha conservato un’inquieta consapevolezza: mai “l’uomo”, dopo aver ottenuto “una conquista”, dopo aver scoperto di esser capace di una cosa e averla realizzata, era stato capace di rinunciare a ripeterla. È la storia del peccato originale, che sarebbe stato di poco conto se non avesse inaugurato una ripetizione infinita. Ricordarsi di Hiroshima – la rimozione è possente, ma non riesce a spazzare fin negli angoli della memoria – era fonte di angosciosa, incredula meraviglia: davvero non era “più” successo. Ma lo slogan diceva: Mai più. Il “Mai” non ci appartiene. Ecco che un giorno, mentre l’uomo ucraino, un contadino, un minatore, un chitarrista, chissà chi, ferma un tank sbarrandogli la strada, il gonfio Putin ordina l’allerta nucleare e i titoli cubitali chiedono: “È possibile un conflitto atomico?” e annunciano il focus apposito. La risposta, senza focus, è naturalmente: Sì. Certo che è possibile. Non solo perché nel frattempo “l’uomo” (faber, sapete) ha miniaturizzato la Bomba, così da rateizzare la distruzione, e non vede l’ora di sperimentarla. Soprattutto perché avere quel potere rende pazzi: solo un pazzo può campare tenendo al collo la chiave della valigetta di cinquemila testate nucleari – o una. Sapete, è come per la percentuale di ammazzamenti privati compiuti da poliziotti, guardiani notturni, cacciatori o altri possessori di porto d’armi, ce l’hai, succede di usarla. “Un raptus”, come si dice quando si usa per uccidere a portata di mano, l’ex fidanzata o la madre dei propri figli. “Sarebbe un suicidio”, si dice a proposito di un Putin di turno. Certo, infatti spesso qualche guardiano diurno o notturno (siano benedetti) subito dopo “rivolge l’arma contro se stesso”. 

Regnante Trump, i responsabili del Pentagono si premuravano di avvertire Pechino che avrebbero tenuto saldamente d’occhio la valigetta con la chiave. Non so se i generali paonazzi che annuivano mentre Putin intimava loro l’allerta facciano lo stesso. Il mondo, o una sua parte, non può inginocchiarsi a mani alzate perché il padrone della Bomba minaccia di farlo saltare per aria. La questione riguarda soprattutto i suoi. Anche se vengono subito dopo di lui e paiono quasi onnipotenti, sono servi, come il disgraziato Sergei Naryškin. I ragazzi che si fanno arrestare, uno alla volta, a San Pietroburgo e nelle altre città, e i cortigiani che dopotutto tengono famiglia, hanno la loro occasione. Gli uni hanno un mondo da guadagnare, gli altri un mondo da perdere: una buona base per un’alleanza. Quanto a noi, dalla nostra parte, sappiamo che cosa dobbiamo fare.

Quando penso (sempre) a questa sorprendente coesistenza dei vecchi e dei giovani, dei vivi e degli ancora vivi, gli attori interessanti della pandemia, del resto, mi chiedo se e come potrebbero pienamente dar vita a una loro fruttuosa alleanza. Hanno tante cose da raccontarsi. Gli uni hanno guardato la luna da molto lontano, come Cyrano di Bergerac, che ci volò su un razzo armato di un archibugio. Gli altri leggono i tariffari per Marte. Che mondo magnifico sta per venire, ora che si aprirà la frontiera fra Russia e Ucraina.

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