piccola posta
Quella di Putin è la prima dichiarazione di guerra ufficiale all'omosessualità
Il capo del Cremlino, il suo cappellano militare Kirill, i suoi consigliori Aleksandr Dugin e Natalya Narochnitskaya: tutti hanno indicato "l'orientamento sessuale non tradizionale" come il cuore profondo dell’occidente
Bisogna guardarsi dalle frasi a effetto, ma è il momento di dire che, attraverso l’Ucraina, Putin ha dichiarato guerra all’omosessualità. L’hanno indicata, lui, il suo cappellano militare Kirill, i suoi consigliori Aleksandr Dugin e Natalya Narochnitskaya, come il cuore profondo dell’occidente. Le “parate del gay pride” come cimento metafisico della salvezza umana secondo Kirill si potevano ancora catalogare fra le sbronze dell’incenso patriarcale. Ma il Putin che, sperando addirittura di cattivarsi Joanne Rowling, ne rivendica l’estraneità ai “diritti di genere”, imprime il suo sigillo sul programma. Ed evoca, per esemplificare la volontà di cancellazione della millenaria cultura russa, i nomi magnifici di Tchaikovsky e Rachmaninoff, non so quanto deliberatamente, dal momento che fu drammaticamente omosessuale il primo e imprudentemente sospetto il secondo.
Nei regimi dispotici le cose non hanno diritto al proprio nome, come la guerra di oggi. La terminologia politicamente corretta in russo è: “Persone di orientamento non tradizionale”, ricorda un brillante saggio satirico del 2007, “E’ l’HOMO quello che l’OMON vede allo specchio?” (Omon è l’unità speciale antiterrorismo dunque antigay).
Ci eravamo dimenticati troppo presto della legge russa cosiddetta contro la propaganda omosessuale, strumento di repressione delle persone e delle associazioni, dichiarate emanazioni di “agenti stranieri”. Abbiamo dedicato pochissima attenzione alla micidiale persecuzione delle persone gay nella Cecenia di Kadyrov, il quale peraltro assicura che “questa cosa non esiste da noi”. (Purtroppo, la soppressione infamante delle differenze sessuali è, là e altrove, ben più profondamente radicata che nella pagliaccesca e sanguinaria tirannide di Kadyrov). C’è un film documentario impressionante di David France, “Welcome to Chechnya. Inside the Russian Republic’s Deadly War on Gays” (“Benvenuti in Cecenia. Nella guerra mortale della Repubblica russa contro i gay”, su Hbo, Amazon ecc.), presentato al Sundance Festival del 2020.
Ora ci troviamo davanti alla promozione dell’omofobia a geopolitica. Ma come, mi sono chiesto, hai tanto insistito sulla intima posta delle guerre contemporanee, combattute per e sul corpo delle donne, e ora ne vuoi spostare il centro su un aspetto particolare come la differenza delle scelte sessuali? In realtà non c’è alcuna contraddizione, e l’omosessualità – lasciatemi usare questa parola in un’accezione generale, come farebbe il Cremlino – è il termine, tutt’altro che parziale, di misura della virilità “tradizionale”, della resistenza del rapporto “naturale” con le donne. L’omosessualità è occidentale – è l’occidente. A Mosca e a San Pietroburgo, dov’è larga, brillante e audace, è decretata come una, la più vergognosa, importazione straniera.
Del resto, quando si segnala un isolamento attuale della Russia di Putin, sarebbe istruttivo fare il conto di quanta parte del mondo contemporaneo condivide l’omofobia e pratica, di diritto o di fatto, discriminazione e persecuzione delle persone Lgbt+. E’ sfuggito ai più che lo scorso 1° marzo la Guida suprema iraniana, ayatollah Ali Khamenei, addebitando la guerra d’Ucraina al regime mafioso degli Stati Uniti, ha precisato: “C’è una grave degradazione morale nel mondo di oggi, l’omosessualità e cose di cui non si può nemmeno parlare. Si è giustamente definita la civiltà occidentale come una nuova èra di ignoranza”. Si curino i dettagli. Alla voce pertinente sulla Russia di Wikipedia si ricorda il governatore della regione di Tambov, Oleg Betin, che nel 2008 dichiarò pubblicamente che “gli omosessuali dovrebbero essere fatti a pezzi e lanciati in aria”. Fantasticheria volatile di certa presa, accostata alla consuetudine islamista di scaraventare i gay giù dai tetti.
Devo comunque già correggermi: non è mia la rivelazione sulla guerra in Ucraina di Putin contro l’omosessualità, com’era prevedibile. “I gay” lo sapevano. Sulla Boston Review del 14 marzo è uscito un saggio di Emil Edenborg intitolato appunto “La guerra anti-gay di Putin contro l’Ucraina”, di cui raccomando la lettura: “Nella retorica del Cremlino e dei media allineati i diritti Lgbt, il femminismo, il multiculturalismo e l’ateismo sono dichiarati non solo come estranei ai valori della Russia, ma come minacce fatali alla nazione”. Vi si citava il discorso inaugurale di Putin del 24 febbraio, per l’“operazione speciale militare”: “Hanno cercato di distruggere i nostri valori tradizionali e di imporci i loro falsi valori che eroderebbero noi e la nostra gente dall’interno, gli atteggiamenti che hanno imposto in modo aggressivo ai loro paesi, e che portano direttamente al degrado e alla degenerazione, perché contrari alla natura umana. Non accadrà. Nessuno è mai riuscito a farlo, né ci riusciranno ora”.
Zelensky, quanto a lui, inadatto alla taccia di genere, si merita quella di “drogato”: un attore, dopotutto. Le donazioni raccolte da coraggiose associazioni Lgbt russe in favore delle persone e dei gruppi Lgbt ucraini sono passibili di condanne fino a 20 anni. La guerra di Troia passò per guerra di uomini per una donna. Gratta la scorza infame della denazificazione, e ci trovi la prima guerra ufficialmente dichiarata contro l’omosessualità e il suo fantasma, che si aggira per la Russia.