piccola posta
Le divergenze tra il compagno Capuozzo e me non toccano il mio giudizio ammirato
Il documentario sui trent'anni dall'inizio dell'assedio di Sarajevo è bellissimo. Ha raccontato meravigliosamente, senza essere reticente per pudore, senza abusare delle vite e delle morti di tutti gli altri, di tutte le altre. Ci sarà spazio altrove per accapigliarsi sull'Ucraina
Vedo che Lucio Caracciolo è stato smascherato come putiniano, e mi viene da ridere. Penso che Caracciolo sia bravo e serio. Pressoché da sempre sento una differenza fra lui e me, perché mi pare che lui tenda a sopravvalutare i rapporti di forza, mentre io sono incline, lo so, a sottovalutare i rapporti di forza. Dunque, almeno a me lui è prezioso.
E ora vorrei dire anche che ho visto il documentario di Toni Capuozzo sui trent’anni dall’inizio dell’assedio di Sarajevo (sabato sera, su Rete 4). Non avevo alcun dubbio che sarebbe stato bellissimo, ed è stato bellissimo. Ma è stato più bello di quanto mi aspettassi, perché Toni ha scelto di fare anche la cosa più delicata e insidiosa: di raccontare se stesso in quella epopea dolorosa, attraverso un tratto decisivo della propria vita e di quella di Kemal. Del bambino Kemal e dell’uomo Kemal, dell’adulto Capuozzo e del vecchio Capuozzo. Ci è riuscito meravigliosamente, senza essere reticente per pudore, senza abusare delle vite e delle morti di tutti gli altri, di tutte le altre.
(“Le divergenze fra il compagno Capuozzo” e me, diciamo così, non toccano affatto il mio giudizio ammirato e commosso sul suo “Ritorno all’inferno”. In cui dice, di passaggio, che allora si era dalla parte dei bosgnacchi “perché era la parte più debole”: non lo direi così, non solo. Era la parte più debole, assediata, affamata, fucilata e bombardata dall’alto, ma era anche la parte che si difendeva, e che non si arrese. Anche per lui, credo. “La divergenza fra il compagno” eccetera, affiora oggi sull’interpretazione degli avvenimenti d’Ucraina, e su questo ci prenderemo per il collo altrove).