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Titoloni su Crimea e Nato: verifichiamo di più le notizie a conferma delle nostre credenze
Zelensky offriva la Crimea, Stoltenberg gliela sequestrava. Guardando un po' più da vicino, non era vero niente. In tutto ciò conviene ricordare chi è Stoltenberg: due volte primo ministro norvegese, laburista, è stato lui a reagire all'orrore della strage di Anders Breivik
Le notizie si erano succedute con la forza di un uno-due capace di mettere al tappeto le opinioni avversarie. Zelensky offriva la Crimea, Stoltenberg gliela sequestrava. Una sequenza così clamorosa che bisognava almeno verificare un po’ più da vicino. Anch’io, naturalmente, ne ero rimasto sbalordito e offeso. Guardando un po’ più da vicino, Zelensky non aveva offerto la Crimea, e Stoltenberg non gliel’aveva sequestrata. Ciò non ha impedito ad alcune testate di quotidiani e a molte teste frettolose di annunciare stentoreamente, ancora ieri, dunque per due giorni, che, come si voleva dimostrare, quella di Zelensky è una guerra per procura, e ora la Nato gli aveva revocato perfino la procura. Provare e riprovare, che non vuol dire provare due volte, ma approvare e refutare, è tanto più consigliabile quando la notizia ti viene incontro col sorriso seducente della conferma delle tue credenze. Oltretutto Jens Stoltenberg – sul cui cognome sono fioriti gli scherzi aguzzi – è un tipo piuttosto beneducato, cui è appena stata prorogata per un anno, non so quanto gratamente, la carica di segretario Nato, era già designato alla presidenza della Banca di Norvegia. Due volte primo ministro norvegese, laburista, il giovane Stoltenberg si era fatto le ossa manifestando contro gli yankee per il Vietnam. Da responsabile Nato è stato ligio alla versione americana, in particolare su Ucraina e Bielorussia. Nel 2011 era toccato a lui reagire all’orrore della strage di Anders Breivik, e lo fece con un memorabile discorso – “contrasteremo l’intolleranza con più apertura e più tolleranza” – che gli ottenne l’orgoglioso consenso del 94 per cento dei norvegesi. Due anni dopo, la sconfitta elettorale.
Bene. Di ieri, va ancora notata la singolare buona figura di Putin, cui una colossale platea interna e soprattutto esterna gridava: “Ahó, facce Putin!”, e ha tenuto il suo fatidico discorso più frettolosamente che poteva, senza curarsi di dire niente. Per la prima volta ha tenuto testa all’efficacia comunicativa del suo giovane rivale di Kyiv.
Voglio toccare un altro punto, riguardante Anna Stepanovna Politkovskaja. Lei è tornata al centro dell’attenzione perché il suo assassinio, il 7 ottobre 2006, regalo di compleanno a Vladimir Putin, fa spicco nella corona di liquidazioni del regime russo, e perché la lettura dei suoi reportage è sconvolgente e illuminante – l’ultimo, lasciato incompiuto, documentava le torture del “governo” di Ramzan Kadyrov in Cecenia. Nelle scorse notti Radio radicale ha ritrasmesso il dialogo fra Marco Pannella e Massimo Bordin successivo alla partecipazione del primo ai funerali di Politkovskaja. Sapete che il parlamentare europeo Pannella fu l’unico delle istituzioni europee, Parlamento, Commissione, Consiglio, a prendervi parte, con un viaggio privato. “Non si sono sognati di mandare nemmeno un usciere”. E nemmeno un rappresentante dello stato russo si fece vedere in quel funerale di pioggia con duemila persone coraggiose. L’impegno per la Cecenia mi legava specialmente a Marco, a Olivier Dupuis e ad altre e altri radicali. Discussi con Marco della vergognosa indifferenza europea – “Non nominate più Schuman e Adenauer, nominate Daladier”, aveva rampognato i suoi colleghi. Eppure penso oggi che quella assenza fosse ancora più rivelatrice di quanto riuscissimo allora a capire. Diceva del rapporto fra i rappresentanti dell’Unione europea e una gran donna, una gran giornalista russa-ucraina ed europea, una che aveva già dovuto riparare a Vienna per scampare ai suoi boia. E quella incredibile assenza diceva tutto del rapporto fra loro e Vladimir Putin.