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Evocando il ricorso all'atomica, Putin non è più il garante del suo arsenale. Nota per il negoziato

Adriano Sofri

L'arma nucleare ha bisogno di non essere usata, ma prima ancora di non essere nominata e tanto meno minacciata. Se a nominarla è un pagliaccio come Kim Jong-un, la cosa è enorme ma passabile. Ma se è Putin, con i gregari da Medvedev in giù, è l'intero edificio a vacillare

La storia degli armamenti nucleari è spaventosa e affascinante. Nel 1991 il collasso dell’Urss lasciò quattro repubbliche in possesso di un arsenale nucleare: oltre alla Russia, il Kazakistan, la Bielorussia e l’Ucraina. L’Ucraina, in particolare, disponeva del terzo arsenale nucleare al mondo, dopo quello americano e russo: missili intercontinentali puntati sugli Usa, e 1.900 testate! Gli Stati Uniti operarono energicamente perché l’intera eredità nucleare sovietica passasse nelle mani della sola Russia, evitandone la moltiplicazione e la proliferazione. L’affare riuscì più alla svelta in Kazakistan e in Bielorussia, più faticosamente con l’Ucraina, che avrebbe voluto garanzie di sicurezza più solide e compensazioni più sostanziose. Nel 1994 (col famoso Memorandum di Budapest) l’accordo fu concluso – al presidente ucraino di allora, Leonid Kravchuk, morto due giorni fa, si è sempre rinfacciato di aver ceduto. 

La Russia era arrivata ad avere 55 mila testate nucleari e 244 sommergibili a propulsione nucleare, oltre a decine di navi. Gli accordi successivi, Salt I e II, Start I e II, ridussero drasticamente gli arsenali reciproci, ma lasciando ancora magazzini colossali. Su un simile apparato incombeva il rischio di disastri come Chernobyl, o del passaggio di mano a terroristi internazionali, o ancora a una guerra civile in cui le fazioni opposte ricorressero alle armi nucleari. (Rischio non così peregrino: quando ero in Cecenia sentii parlare di piani molto concreti di quei bojeviki per impadronirsi della base missilistica di Bamut). 

Se il collasso dell’Urss era avvenuto, sarebbe potuto avvenire ancora. Questa è sempre stata una preoccupazione della politica internazionale e della Nato in particolare. Fino all’invasione dell’Ucraina, la Russia di Putin è sembrata garantire l’osservanza del criterio di mutua deterrenza che esclude il ricorso all’atomica. Armi nucleari sono in mani del tutto inaffidabili, dalla Corea del Nord al Pakistan (sono nove gli Stati che ne dispongono), ma finora con una sensazione relativa di controllo delle potenze maggiori. L’arma nucleare ha bisogno di non essere usata, ma prima ancora di non essere nominata e tanto meno minacciata. Se a nominarla è un pagliaccio come Kim Jong-un, la cosa è insieme enorme ma passabile. (Benché l’accostamento della Corea del Sud alla Nato sia una notizia più sconvolgente della richiesta d’ingresso della Finlandia). Ma se a nominarla, per giunta ripetutamente e minacciosamente, è Vladimir Putin, con la muta dei gregari da Medvedev in giù, è l’intero edificio a vacillare. Il Putin che evoca il ricorso all’arma nucleare, tattica quanto si voglia, cessa perciò stesso di essere il garante del suo colossale patrimonio di missili e testate. E al tempo stesso l’ipotesi, immaginata o apertamente auspicata, della caduta di Putin e di un cambio di regime privo di ogni connotazione alternativa, costringe a interrogarsi drammaticamente quanto e più che nel 1991 sulla sorte delle 6 mila testate nucleari russe, 4.400 “utilizzabili”, 1.588 già schierate e operative… 

Bisogna sperare che, fra le condizioni variabili cui gli stati maggiori occidentali e i loro dirigenti politici pensano a proposito del negoziato con la Russia, e di quella sua parte che non si esaurisca nel confronto diretto fra Russia e Ucraina, la questione sia considerata come merita. Quando c’è un nodo apparentemente inestricabile, la cosa migliore non è tirare forte alla cieca, aggrovigliandolo ancora di più, né tagliarlo di netto, finendo tutti a gambe all’aria, ma allargando pazientemente le maglie – con dita di tessitrice, o di bambino, o di arpista – aprendo l’orizzonte. Penso che la guerra d’Ucraina non si risolva senza questo secondo piano, che non può che riguardare un nuovo ordine di sicurezza dell’intera Europa, Russia compresa. Vaglielo a dire a Kirill, direte. Sì, ma Kirill passa.

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