il reportage da odessa
La rinuncia alla lingua come ennesimo atto di resistenza
I dominatori iniziano a cancellare una cultura sottomessa dalla lingua, ma nella regione di Odessa, dove la maggioranza della popolazione è madrelingua russa, sono gli ucraini a rifiutare la propria lingua madre, per sopravvivere
Odessa, dal nostro inviato – Joseph Conrad, che si chiamava Józef Teodor Konrad Korzeniowski, era nato a Berdyciv, allora Russia, oggi Ucraina, ascoltò e pronunciò le prime parole in polacco, imparò il francese e più tardi, già adulto, l’inglese. In inglese scrisse i suoi grandi romanzi. E’ solo un caso, insigne ma diffuso, di un cambiamento di vita che porta con sé l’adozione di una nuova lingua. Quello che succede ai migranti di oggi, fra i quali infatti crescono alcuni dei talenti letterari più significativi del nostro mondo. E’ un’esperienza in cui ciascuno può provare a immedesimarsi.
Provo invano a immedesimarmi in un ucraino che, restando nel suo paese e nella sua città, scelga di ripudiare la lingua “russa” – si è chiamata così – in cui è cresciuto, e la senta ora come un’arma del suo nemico giurato, una delle più potenti. La lingua è il primo e il più importante modo di sentirsi a casa. I dominatori decisi a cancellare l’identità di un popolo sottomesso gli vietano l’uso della sua lingua materna, lo perseguitano fin dentro le cucine e le stanze da letto. Lo fece il fascismo con le sue minoranze. Ma qui avviene l’opposto: sono coloro che resistono all’aggressione di un despota e del suo sistema di obbedienze a scegliere di spogliarsi della lingua che ha sentito e usato come sua, la sua prima proprietà.
Intendo naturalmente quella rilevante parte di ucraini che ha avuto il russo come madrelingua (uso ancora questo termine) e che in alcune regioni, e per esempio a Odessa, è, almeno fra chi non è giovanissimo, la netta maggioranza. Immagino il privarsi della propria lingua come una mutilazione. Per questo, l’adesione che una misura così drastica e dolorosa mostra di raccogliere è una riprova di quella determinazione che gli ucraini stanno profondendo sui fronti di guerra e nell’esilio. Ma è possibile che la stessa determinazione coincida in alcuni con il rifiuto di concedere al nemico la propria lingua: di riconoscergliene il monopolio. Ce n’è una controprova. Succede continuamente di sentir denunciare, dalle ucraine, dagli ucraini, la mostruosità speciale di un aggressore mandato a infierire contro persone che parlano la sua stessa lingua, e usano il suo stesso alfabeto (a Sarajevo, almeno l’alfabeto era diverso). È sottinteso, in questo scandalo, che la lingua comune sia un modo per comunicare, per riconoscersi, e non possa essere quella in cui si schernisce, si umilia e si tortura.