Piccola posta
Lo stallo della guerra e l'imprevedibilità, come a Kherson
Kyiv esonera i lavoratori marittimi dall’obbligo di residenza in patria, è una misura importante che segna un passaggio di fase: il conflitto sembra fermo, ma sempre pronto a ribaltarsi
Odessa, dal nostro inviato. Sabato scorso un decreto speciale del governo ucraino ha esonerato i lavoratori marittimi dall’obbligo della residenza in patria, stabilito per tutti gli uomini ucraini fra i 18 e i 60 anni. È una misura rilevante, attesa da tempo, perché riguarda fra i 100 e i 150 mila marittimi, oltre ai cadetti e agli studenti dell’Università marittima, bisognosi di affiancare lo studio con l’esperienza di navigazione. La marineria civile ucraina ha un’eccellente reputazione internazionale. La sua università principale è a Odessa, e altre sedi erano a Mykolaïv e a Kherson. Quella di Mykolaïv è fra le più accanitamente bombardate dalle forze russe, quella di Kherson è nelle loro mani.
Mi aveva colpito, in questi mesi in Ucraina, la frequenza di incontri con guidatori di taxi che di professione sono marinai. Improvvisarsi tassisti è una risorsa diffusa, di peshmerga in Kurdistan, di ingegneri a Cuba... L’Ucraina, che aveva costruito buona parte della flotta russa del Mar Nero soprattutto nei cantieri di Mykolaïv, non ha una importante marina militare, benché abbia riportato, ma da terra, alcune delle sue vittorie più spettacolari contro la flotta russa, a partire dall’affondamento dell’ammiraglia Moskva (anche lei costruita a suo tempo a Mykolaïv).
C’è naturalmente una flotta civile, la cui compagnia nazionale, la più importante, ha sede a Odessa, si chiama Ukrferry, e dispone di tre grandi navi “Ro.Pax”, da trasporto di veicoli e merci e passeggeri, specialmente sulle rotte della Georgia e della Turchia. Dopo la pesante sosta del Covid contava di impiegarne una quarta, ed è arrivata la mazzata della guerra e del Mar Nero chiuso e minato. Una delle navi era in navigazione altrove e ha potuto esser mantenuta in servizio, soprattutto per trasporti Onu, le altre due sono rimaste bloccate nel porto di Chernomorsk.
Dopo l’accordo mediato da Onu e Erdogan, le cose si sono rimesse in movimento e oltre 50 navi hanno lasciato Odessa e i due porti minori. A ieri, ancora, le autorità ucraine hanno comunicato che i carichi di grano e cereali spediti via terra e attraverso i porti danubiani erano molto superiori a quelli avviati per mare. È un fatto che le luci notturne di alcuni bastimenti alla fonda nel Mar Nero visibili dal lungomare di Odessa sempre più affollato hanno cambiato lo stato d’animo delle persone e fatto pensare a una normalità meno remota.
Gli stati dell’animo sono sempre difficili da definire unilateralmente. Si oscilla da un indizio all’altro. Il New York Times, per esempio, ha annunciato un paio di giorni fa che la sua lettera quotidiana agli abbonati, sull’andamento della guerra e gli articoli dei suoi collaboratori e della stampa internazionale, smetteva di essere quotidiana per uscire tre volte alla settimana. Che è un altro modo di sancire il passaggio dalla guerra di movimento alla guerra di posizione. A quello che si chiama da tutti “stallo”. Ed ecco che mentre scrivo queste righe, arriva la notizia ancora scarna di un attacco delle forze ucraine alla prima linea di Kherson e di un ripiegamento delle forze russe.
Tutto da verificare, naturalmente. Ma è un fatto che la nozione di stallo deve fare i conti con l’imprevedibilità, che vuole una parte ingorda nelle cose pacifiche e in quelle bellicose. A Kherson si gioca una partita di pazienza. Con una scrupolosa regolarità, gli ucraini “rifiniscono” il bombardamento di precisione degli Himars sul ponte di Antonivskiy, così da perpetuare la condizione delle truppe russe che attraversarono incautamente il Dnepr e stentano a ricevere i rifornimenti di munizioni e vettovaglie di cui hanno bisogno.
Indaffarati, abbastanza goffamente, a costruire un pontone di barche che supplisca almeno in parte ai ponti, stradale e ferroviario, sforacchiati, i russi devono aspettarsi che al momento buono i missili ucraini giochino al tiro a segno anche col loro ponte Bailey. Dunque ci si aspetterebbe che decidessero di forzare la mano e attaccare, con le decine di migliaia – 25-35 mila – di uomini che hanno convogliato su Kherson.
Ma chi attacca si espone. Da parte ucraina, le pressioni per l’attacco e la gloria della riconquista di Kherson sono forti, e favorite dalla propaganda che ne dichiara la continua imminenza, ma l’attacco, e anche la sua del tutto eventuale riuscita, costerebbe un enorme numero di perdite umane. E poi c’è l’imponderabile. Anche la rubrica del New York Times postilla: se dovessero succedere cose di imprevisto rilievo, naturalmente ne daremmo notizia tempestiva. Ecco. Lo stallo, salvo che.