Piccola posta
Si combatte e si muore nella controffensiva. Un amico da Kherson
La differenza che fa avere cara una persona del posto quando ci si informa sulla guerra. Nuovi missili sul ponte Antonivsky ieri mattina.
C’è la magia dei nomi dei luoghi e delle città. Sarajevo, Odessa, per esempio. Tutto cambia quando la magia esotica diventa conoscenza, quando ci metti piede. Il passo ulteriore, quello decisivo, avviene quando puoi dire di avere un’amica, un amico, in quel luogo, in quella favolosa città. Ora c’è Kherson. Quasi sconosciuta fino a poco fa, nonostante il nome così greco, la foce del Dnipro nel Mar Nero, i natali di Trotsky. Si combatte per Kherson. Forse è la famosa controffensiva ucraina, forse è solo un suo assaggio. Certo si muore in tanti, in troppi, per Kherson. Mi auguro che Kherson torni al paese cui è stata tolta con la forza, che i soldati russi le volgano le spalle e se ne tornino a casa vivi e disgustati, che i manuali scolastici revisionati dalle autorità di occupazione alle materie di storia e lingua vadano al macero. Non c’è niente che io possa fare per Kherson, e in generale per il mondo – quasi niente. Posso fare qualcosa per me. L’ho fatta. Ho fatto amicizia con una persona di Kherson. Lui è scappato fortunosamente dopo essere stato braccato a lungo. E’ venuto via spogliato di quasi tutto. Ora abita qui, a portata di ritorno. Ha quarant’anni meno di me, trenta centimetri di più, tutto congiura per un’amicizia solida. E’ schivo, ma gli ho imposto una cena quasi lussuosa. Adesso il mio modo di seguire le notizie su Kherson – nuovi missili sul ponte Antonivsky ieri mattina, e anche sul pontone di barche e su zattere e traghetti montati dai russi per supplire all’inutilizzabilità dei ponti, opposti proclami russi sulla distruzione di combattenti e mezzi ucraini – è radicalmente cambiato. Adesso aspetto di andare a Kherson e di essere ospitato a cena dal mio amico, a casa sua. Sono stato lungimirante. Ho fatto un affare.