piccola posta
Compendio dell'orgoglioso “Noi” collettivo, origine di cose mirabili e terribili
Benché sia la specie più intimamente litigiosa, il genere umano ha annesso qualunque impresa compiuta dai suoi singoli membri a un'orgogliosa collettività. Non ultimo, abbiamo appena centrato un asteroide per cambiarne la traiettoria
Benché sia la specie più intimamente litigiosa, il genere umano ha annesso qualunque impresa compiuta dai suoi singoli membri a un orgoglioso “Noi” collettivo. “Noi” – l’Uomo, abbiamo fatto questo e quest’altro… Adesso l’Uomo ha perso la sua pretesa neutralità, dal momento che “noi”, Samantha Cristoforetti, abbiamo preso il comando della Stazione spaziale internazionale. Per restare ai nostri giorni, “Noi” abbiamo appena centrato un asteroide per cambiarne la traiettoria. “Noi” – chi in particolare, non l’abbiamo ancora rivendicato – abbiamo fatto quattro buchi nei gasdotti profondi del Baltico, e gasato fauna e flora del mare. E fatto pensare anche ai più profani fra noi che “Noi” potremmo fabbricare in serie dei droni kamikaze sottomarini autoguidati capaci di tranciare tutti i cavi attraverso cui passano le nostre comunicazioni universali, tornando all’età delle cartoline postali e delle lettere affrancate, o, se la cosa avvenisse quando pressoché nessuno di “Noi” fosse più in grado di scrivere con una penna su una carta, alla tecnologia dei segnali di fumo, che del resto fummo “Noi” a inventare, e fu un gran progresso.
“Noi” siamo quelli che hanno diviso l’atomo dopo avergli dato quel nome, che vuol dire ciò che non può essere diviso, perché per noi niente è impossibile, né dare il nome alle cose né contraddirlo, e “Noi” ieri abbiamo pubblicato un articolo sul Corriere della Sera (di Danilo Taino, uno di noi) che dava conto della persuasione di Joseph Nye (un altro di noi) che “la guerra nucleare non è inevitabile”, una tappa ulteriore rispetto alla sequenza: “La guerra nucleare non è pensabile”, “la guerra nucleare non è impossibile”, “la guerra nucleare è evitabile” – “la guerra nucleare non è inevitabile”. Dipende da “Noi”, dopotutto. “Noi”, siamo quei soldatini che telefonano a casa dai dintorni di Kyiv e dicono, diciamo: “Ci sono membra umane disseminate intorno, già maledettamente gonfie. Nessuno le raccoglie, non sono i nostri, sono fottuti civili”. “Uccidiamo tutti i civili che ci passano davanti e li trasciniamo nella foresta. Ormai sono diventato un assassino”.
Questa piccola posta non avrebbe mai fine, chiunque le potrebbe aggiungere l’impresa magnanima o infame che “Noi” abbiamo compiuto o vagheggiamo di compiere. Voglio ricordare però Evgenij Ivanovic Zamjatin (1884-1937) che tra il 1919 e il 1921 scrisse il suo romanzo “Noi”, capostipite della letteratura che si è chiamata distopica, cui appartennero “Il mondo nuovo” di Huxley, “1984” di Orwell e una lunga serie di epigoni. “Noi” uscì in inglese nel 1924, in italiano nel 1955, in Russia solo nel 1988. (Zamjatin è ora al centro de “Il mago del Cremlino” di Giuliano da Empoli). In un racconto di Zamjatin c’è una città il cui sindaco delibera che tutti siano imbecilli allo stesso modo e, fra altre misure destinate a una felice uguaglianza, tutti si radano i capelli. Infatti, più o meno in tutti i tempi, “Noi” siamo stati quelli che hanno disposto delle nostre capigliature, e altrui. “Noi”, “l’Uomo”. “Pollà ta deinà…”: molte sono le cose mirabili, ma nessuna è più mirabile dell’uomo; molte sono le cose terribili, ma nessuna è più terribile dell’uomo.