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Putin, Pugačëv e i russi che si abbeverano del passato con l'effetto di deridere il presente

Adriano Sofri

I personaggi di questa Russia putiniana si portano dietro la storia come un barbone il suo treno di cartoni. Così il paese sembra spesso girare attorno agli stessi intrighi, allo stesso mazzetto di nomi

I personaggi della tragicommedia russa si abbeverano a ogni grandioso capitolo del passato per procurarsene un avanzo di grandezza, col risultato di trasformare la storia nello specchio derisorio del loro presente. Mercoledì scorso Putin, nel corso di una lunga videoconferenza televisiva con un gruppo di insegnanti premiati, ne ha bruscamente interpellato uno sulla rivolta di Pugačcëv. Yemelyan Ivanovicč Pugacčëv fu il cosacco analfabeta che si spacciò per lo zar Pietro III redivivo e guidò fra il 1773 e il 1775 una guerra contadina spietata contro i nobili e Caterina II che sollevò l’intero territorio fra il Volga e gli Urali e minacciò la stessa capitale, prima che i suoi lo tradissero e lo consegnassero al boia a Mosca. “Che cos’è stata, questa ribellione di Pugačëv? Perché è avvenuta? Qual è la tua opinione?” - Putin ha interrogato l’insegnante, che si è ingegnato come un alunno spaventato di ricapitolare gli argomenti scolastici.

Putin l’ha sfottuto benignamente: parli come un diplomatico del ministero degli Esteri russo. La risposta esatta, ha decretato, è che “Pugačëv immaginava di essere lo zar”. Non era una gran notizia: Pugačëv è stato descritto come un formidabile impostore che, a metà fra realtà e sogno, arrivò a credere nella propria impostura. A Putin premeva di arrivare alla conclusione piuttosto scontata, pro domo sua: tutto dipese “dalla debolezza dell’autorità centrale del paese”. Mi ricordo la prima lettura della Figlia del capitano, emozionante per un adolescente come L’isola del tesoro. Il Pugačëv di Pushkin finisce come deve finire, ingabbiato, fieramente sottomesso, e decapitato e squartato sulla piazza, ma si porta dentro un pensiero irriducibile: “Però io sono stato zar!” Putin interpreta se stesso come il restauratore dell’autorità centrale del paese, riscattato al caos degli anni ‘90. Ma sembra non accorgersi di scherzare col fuoco della storia. Si paragona a Pietro il Grande, scivolando in una parodia dell’impostura di Pugačëv. Viene naturale immaginarlo in una sua gabbia, a rimuginare lo stesso pensiero: succeda quel che deve succedere, “io sono stato zar”. Specialmente ieri, nel giorno del suo 70esimo genetliaco, celebrato così scrupolosamente dai tre Nobel per la pace

 

I personaggi di questa Russia putiniana si portano dietro la storia come un barbone il suo treno di cartoni. Con tutti i suoi 11 fusi orari, la Russia sembra spesso girare attorno agli stessi intrighi, allo stesso mazzetto di nomi. In un castello francese vive, molto attento a guardarsi dai sicari del Cremlino, un avventuriero, un ladro e truffatore in disgrazia, cioè un oligarca, che si chiama Pugačëv: Sergej Viktorovič Pugačëv. Già noto come “il banchiere di Putin”, vanta, con qualche fondamento, di averne patrocinato l’investitura a successore di Eltsin nel 1999. Forse qualcosa ne sapete, c’è una serie Netflix che lo riguarda, e soprattutto la sua ex moglie e madre dei suoi figli, una carina ed elegante contessa inglese che si chiama, lontana parente, Alexandra Tolstoj – che cosa vi dicevo? Gli ex coniugi descrissero Putin: “Voleva stare al potere solo 3 o 4 anni, e anche lui voleva diventare ricco. Era una persona pragmatica”, disse lui, prima di decidere che fosse “una tragedia per la Russia”. Lei, più distinta: “L’ho visto un paio di volte. Sergei all’inizio ci parlava quasi ogni giorno, mi raccontava dei suoi scoppi d’ira, delle sue debolezze, le sue paure. È un narcisista cui non piace ritrovarsi con le spalle al muro. È un uomo privo di qualsiasi carisma, basso, con un viso molto sovietico. Non fa una bella figura”.

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