piccola posta
Siamo diventati otto miliardi: osservare nuvole e tramonti ristabilisce un po' di solidarietà
La sensazione di vivere un'avventura favolosa, unica, al calar del sole. Poi si trovano le foto sui social e si torna a riconoscere come ci assomigliamo: ho immaginato le sensazioni delle loro autrici e dei loro autori, che dovevano essere state molto simili alle mie
Sabato scorso, 12 novembre, a Firenze e dintorni c’è stato un tramonto dai colori e dalle forme spettacolose. L’abbiamo visto in migliaia e migliaia, l’abbiamo guardato, e soprattutto, come ormai succede, fotografato. In migliaia poi l’abbiamo messo in rete – io no, senza ragione, l’ho spedito solo a certi parenti stretti, spiegando che non c’era nessun ritocco. Poi, scorrendo la moltitudine di fotografie messe in rete, ho immaginato le sensazioni delle loro autrici e dei loro autori, che dovevano essere state molto simili alle mie. Un tramonto così, specialmente quando si è soli e non si può spalleggiarsi, dapprincipio ci si sente infantilmente come se proprio a noi fosse capitata un’avventura favolosa, paragonabile a un’aurora boreale nel cielo del Chianti; poi si trova il repertorio condiviso di fotografie, sul Ponte Vecchio soprattutto, naturalmente, e si torna a riconoscere come ci assomigliamo, noi animali umani: esperienza di assoluta ovvietà, ma quasi imbarazzante in un tempo in cui ci sembra di dissentire furiosamente dal nostro prossimo. Almeno, una solidarietà di spettatori di tramonti. (In rete non mancano quelli che ammoniscono sulla causa di tramonti così inverosimilmente pittoreschi: le scie chimiche. Loro sono andati davvero lontano). Ecco, ora metto in rete anche le mie fotografie.
E siamo a ieri. Quando, nel 2011, la popolazione mondiale degli animali umani raggiunse i 7 miliardi, non ricordo bene, probabilmente ero distratto. Quando, nel 1999, la popolazione mondiale toccò i 6 miliardi, e se ne celebrò il giorno convenzionalmente fissato, scrissi un articolo di auguri indirizzato, piuttosto ovviamente, alla neonata bambina protagonista di quel traguardo. Ieri, quando il traguardo ha toccato gli 8 miliardi, ho avuto un pensiero opposto, appena meno ovvio. Ho pensato di rivolgere congratulazione e augurio a un vecchio e stanco uomo, il singolo vecchio uomo provato che, non ancora morto, dunque vivo, ha consentito di raggiungere quel traguardo. Senza di lui, il record avrebbe dovuto aspettare ancora un giorno, o un’ora, o un minuto: un batter d’occhio. Sia festeggiato il batter d’occhio supplementare che ha fatto del vecchio e fragile uomo sconosciuto il titolare, insieme alla sconosciuta neonata bambina, della nuova inedita cifra in fondo al conto del mondo degli umani.
Ieri ho ascoltato la puntata di Radio 3 Scienza in cui Marco Motta ospitava Vincenzo Levizzani, studioso e docente di nuvole, ora autore di un “Piccolo manuale per cercatori di nuvole” (Saggiatore). Ha detto cose affascinanti: facile, direte, quando si tratti di nuvole. Ma le nuvole sono anche la mutevolezza e la bellezza irreparabile, per così dire. Trascrivo qui la notizia che Levizzani ha citato, con la formula “non tutti sanno”: “Non tutti sanno che in ogni singolo momento le nuvole coprono il 70 per cento del pianeta”. Non lo sapevo, o se lo sapevo non ci pensavo più. Ieri ci ho pensato a lungo. Che c’entrava con gli 8 miliardi che siamo, ciascuna e ciascuno a suo modo? Niente, forse.