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La lotta al potere di Pablo Milanés, grande cantautore cubano morto due giorni fa
Nel 1994 aveva ricevuto il premio Tenco (con una motivazione temerariamente retorica). Lo festeggiarono con un album, tra gli altri, Edoardo Bennato, Cristiano De Andrè, Eugenio Finardi, Gino Paoli, Roberto Vecchioni, Tosca…
Le origini di certe canzoni si fanno leggendarie. “Yo pisaré las calles nuevamente” è una delle canzoni più amate di Pablo Milanés, più ricantate dalla folla dei suoi concerti. Le vengono attribuiti diversi anni di nascita, a partire dal 1973 del golpe cileno, e un destinatario, Salvador Allende, evocato nel verso sulla vita “falciata alla Moneda”. In realtà fu composta nel 1974, immediatamente dopo la notizia dell’assassinio di Miguel Enríquez, il giovane medico leader del Mir, il Movimento di sinistra rivoluzionaria. Diventò un inno, e il suo testo è un documento del sentimento di allora e della passione che sfidava la retorica. Ce ne sono tante versioni, dei compagni di Milanés nella Nueva trova cubana, come Silvio Rodríguez, o di Joaquin Sabína e di Joan Manuel Serrat – forse la più bella. Dice, la prima strofa: “Camminerò di nuovo per le strade / di quella Santiago che era stata insanguinata / e in una bella piazza liberata / mi fermerò a piangere per gli assenti”. Milanés ci tornò davvero, nella piazza di Santiago, 25 anni dopo, e lo accompagnarono Sabína e Gabriel García Márquez e tanti altri.
Pablo Milanés è stato a lungo malato ed è morto a Madrid l’altroieri, a 79 anni. Le sue canzoni – oltre 400, leggo – si dividevano fra la lotta e l’amore: “Yolanda”, “El breve espacio en que no estás”… Quella retorica non corrisponde più allo spirito dei nostri tempi e dei nostri luoghi, e anzi li imbarazza. “E assieme a chi ha fatto poco o tanto, / a chi vuole la patria liberata, / sparerò le prime pallottole / più presto che tardi, e senza tregua” (ma la vita gioca strani scherzi, soprattutto quando si fa così longeva e tortuosa). Quell’America latina di chitarra si nutriva e si esaltava dei morti e dell’onore loro dovuto. Milanés cantò anche Che Guevara, si capisce, “Si el poeta eres tú ”, associandosi alla poesia che nel 1967, anche lui alla prima notizia della sua uccisione in Bolivia, gli aveva dedicato in una lettera privata Julio Cortázar, il quale al Che, mi pare, somigliava fisicamente: “Ho avuto un fratello / non ci siamo mai visti / ma non importava. / Ho avuto un fratello / che andava per i monti / mentre io dormivo. / Gli ho voluto bene a modo mio, / ho preso la sua voce / libera come l’acqua. / Certe volte ho camminato / vicino alla sua ombra. / Non ci siamo mai visti / ma non importava, / mio fratello sveglio / mentre io dormivo / mio fratello mi mostrava / dietro la notte / la stella da lui scelta”. E’ bella anche ora, no? Del resto Cortázar ha scritto uno dei romanzi più belli del mondo. Nel 1994 Milanés aveva ricevuto il premio Tenco, con una motivazione a suo modo temerariamente retorica: “… la poesia quotidiana di una civile convivenza dove la dignità del rapporto assurge, sempre e comunque, al valore assoluto”. Lo festeggiarono con un album Edoardo Bennato, Pierangelo Bertoli, Cristiano De Andrè, Eugenio Finardi, Enzo Gragnaniello, Mimmo Locasciulli, Mau Mau, Gino Paoli, Roberto Vecchioni, Yo Yo Mundi, e il trio Rossana Casale, Grazia Di Michele e Tosca.
Insomma, l’altroieri ho guardato il telegiornale cubano, c’era un lungo servizio sul lutto dei cubani per Pablo Milanés. Non so abbastanza del rapporto combattuto fra lui e i dirigenti cubani. Scorrevano i titoli di testa. I primi due dicevano: Il presidente cubano Díaz-Canel in visita a Mosca, dove inaugura con Putin un monumento a Fidel. E’ morto a Madrid il grande cantautore cubano Pablo Milanés.