piccola posta
Quello stile da aggressione infantile nei dibattiti sulla guerra
Nell’educazione maschile della mia generazione c’è un bambino sopraffatto da uno più grande e grosso che gli intima: “Di’ ‘mi arrendo!’”. Attorno si è fatta una piccola folla, e alcuni gridano al piccolo, sghignazzando: “Arrenditi, scemo!”. Con l'Ucraina ancora va così
Ho pubblicato un lungo pezzo immaginando discretamente i sentimenti del Papa. Poco dopo l’ho visto piangere davanti alla sua Immacolata, e scusarsi con lei di non averle portato il dono in cui aveva confidato. Un cedimento della paternità, ma niente è fraterno come un pianto infrenato di vecchio uomo. Un’ammissione di impotenza, si è detto. Il contrario dell’impotenza è la potenza, il peggiore dei nomi cui accostare un pastore “con l’odore delle pecore”. Nella inclinazione a risparmiarsi per l’avvenire, per potersi fare tramiti e costruttori di pace, c’è una tentazione di superbia, di potenza, e un cedimento ai giochi di parole, equidistanza equivicinanza... Le spalle di un vecchio Papa scosse dai singhiozzi, per il dolore e la sconfitta, non sono più disperanti di una pretesa, un’illusione, alla titolarità del negoziato e della pacificazione.
Nello stesso giorno, ho trovato sul Fatto – il luogo che il Papa ringraziava per l’“ampia risonanza” alle sue parole – l’elogio alle parole di Alessandro Orsini, ospite d’onore dei francescani romani: “Stiamo promettendo due Natali di morte ai bambini ucraini se inviamo armi”. Non avevo ancora letto parole così ributtanti.
Infine, non seguo abbastanza le espressioni della pubblica opinione, non so, dunque, se e chi abbia ammonito che la mancata resa della gente iraniana e curda sta condannando i suoi bambini a un destino di morte.
Nell’educazione maschile – maschile e basta, non occorre aggiungere né virile né maschilista: semplicemente maschile – della mia e di innumerevoli generazioni antenate c’è un bambino sopraffatto da uno più grande e grosso che gli intima: “Di’ ‘mi arrendo!’”. Il piccolo cede, o resiste, o non ce la fa più a resistere e soccombe e mormora piangendo: “Mi arrendo...”. L’altro gli sta ancora più addosso, gli stringe la gola, gli ordina: “Più forte, non ho sentito, dillo più forte!” Sono maschi ambedue, il prepotente e il piccolo orgoglioso che resiste fino a che ce la fa.
Questa scena madre non è completa. Attorno si è fatta una piccola folla di altri bambini e ragazzi più grandi. Alcuni ridono, alcuni incitano l’uno o l’altro, bambine stanno più distanti. Alcuni gridano al piccolo, sghignazzando: “Arrenditi, scemo!”
Un momento: nemmeno così è finita. Fra i più grandi spettatori può essercene qualcuno che simpatizza per il piccolo, il suo coraggio, il suo amor proprio. Che lo incita: “Non ti arrendere!” E non gli dà una mano, né interviene a dividerli.
In quanti modi si può partecipare o assistere a un’aggressione d’infanzia a un’uscita di scuola.
(Poi ci sono le bambine. Viene il giorno in cui, armate dei loro capelli, non si arrendono).