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Il canto delle donne di Teheran

Adriano Sofri

Una canzone notissima, sotto le parole in farsi vengono in mente quelle in castigliano dell’originale. Dice, la traduzione persiana: “Sollevatevi! In nome della donna, della vita, della libertà. Liberiamoci dai ceppi della schiavitù". È lei: El pueblo unido, jamás será vencido

Ieri mi è arrivato un video girato all’Università di Arte di Teheran, Facoltà di musica. In un grande spazio è radunato un vasto coro di giovani donne in nero e a capo velato. Cominciano scandendo con un’energia crescente il trinomio della resistenza, Jin, Jiyad, Azadi - Donna, Vita, Libertà. Tengono in mano un cartello bianco con quei nomi. Poi parte la musica e il canto. E’ un canto notissimo, sotto le parole in farsi vengono in mente quelle in castigliano dell’originale. Dice, la traduzione persiana: “Sollevatevi! In nome della donna, della vita, della libertà. Liberiamoci dai ceppi della schiavitù. Si spezzi la nostra nera notte. Diventi ogni frusta una scure! Così che diveniamo germogli, io, tu, gli altri, diventiamo di nuovo ciò che siamo. Giuriamo per il sangue puro dei tulipani, per la rivolta dei baci e delle lacrime, nella pena di questo viaggio senza fine, dalla tua anima e dal tuo corpo chiamami, o terra madre. Che il ruggito rosso del tuo nome, salendo, faccia tremare il mondo. Siano strappati via questi abiti da servi, si spezzino le nostre nere notti, diventi un’ascia ogni frusta.” Magnifica retorica, nella circostanza. La canzone, l’inno, cantato in coro, così stranamente familiare, è quella: El pueblo unido, jamás será vencido. Vi ricordate, gli Inti Illimani delle nostre strade, “La musica andina, che noia mortale, sono più di tre anni che si ripete sempre uguale”. Che destino di immersioni, noie, resurrezioni, hanno certe parole, certe arie. Bella ciao a Teheran, la musica andina. (Lucio Dalla cantò poi con gli Inti Illimani in Piazza Grande, e chissà come canterebbe oggi con le ragazze di Teheran e il nuovo cucciolo Alfredo). 

Ho inoltrato il video. Prima di tutto l’ho mandato alla mia amica di Odessa, dove la notte è buia.

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