piccola posta
Vivere il 25 dicembre a Odessa
Si vede il buio, buio pesto. E si fanno i conti con la povertà. "La notte prima di Natale" di Gogol' e l'arte di tenere duro. Si cita Pasternak: "Un giorno ora dura più di un secolo / E l’abbraccio non finisce mai"
Odessa, dal nostro inviato. Dice: racconta la vigilia di Natale a Odessa. Pronto. Ma non è facile. Natale è la festa delle luci, le stelle, la cometa. Anche Chanukkà, la vittoria della luce sulla tenebra, l’accensione delle candele quando i giorni sono più corti. “Un giorno ora dura più di un secolo”, ha scritto ieri Evgenij Golubovskij, citando Pasternak. Ieri notte mi ero svegliato, sono andato a guardare fuori, c’era un buio come mi sembrava di non averlo mai visto. Non siamo più abituati a vedere il buio, diciamo sciocchezze come: “Non si vede niente”. Si vede il buio. C’era il buio del coprifuoco raddoppiato con quello dell’elettricità bombardata. Buio pesto, nero. Di giorno, era già venerdì mattina, la luce ha tardato ma è tornata, appena rannuvolata. I chioschi sono ripartiti con i generatori; ho chiesto, un gruppo autogeno costa circa 1.200 euro. Un euro ora si cambia a 42 grivne, un affare per gli inviati di guerra. Sono uscito a caccia di notizie sulla vigilia di Natale. Ora sono sempre di più gli ortodossi che vogliono festeggiare il Natale il 25 dicembre e non il 7 gennaio, per non fare come i russi, e la chiesa ortodossa ucraina l’ha autorizzato. “Siamo europei, facciamo come i cristiani cattolici e protestanti europei”. (V. gli articoli di Matteo Matzuzzi qui e di Christian Caryl sul Washington Post). A Zelensky che proponeva una tregua di Natale, da Mosca si è risposto di no perché i militari russi festeggiano il 7 gennaio.
Però bisogna fare i conti con la povertà. E’ quasi l’ora di pranzo e il centro di Odessa è piuttosto vuoto. Che impressione strana. Gatti ce n’è, si cercano tubi o lamiere sotto i quali scorra qualche tepore. Niente tram: Odessa senza tram è come Venezia senza canali. Le scuole sono chiuse da un anno, e così le biblioteche, i musei. I negozi aperti hanno qualche volonterosa decorazione, pochi clienti: dovrei andare a Privoz, al mercato generale, ormai sono in centro, alla chiesa cattolica – chiusa – alla cattedrale ortodossa (ucraina) spalancata, enorme, piena di similoro, vuota di fedeli, per il momento. Andrò domani al mercato delle pulci a Moldavanka, là ormai i poveri vendono le loro povere cose, gli altri sono andati via. La povertà – “più m’innamora” – è del resto natalizia per eccellenza. Meraviglia: il Teatro Nazionale è aperto, compro il biglietto per la pomeridiana del 25 (la serale non c’è): Il barbiere di Siviglia, quarta fila di platea, nemmeno 10 euro. Nella Deribasivs’ka un lussuoso magazzino di toys e bambole gonfiate svende al 50 per cento, è vuoto. Sulla parete stradale che accoglie i poster degli artisti volontari ce n’è uno che dice: STOP RUSSIAN-IRANIAN TERRORISM! C’è un dipinto accanito contro la sventurata Caterina II. Nella piazza Katerynynska situazione di stallo, direi, ma è probabile che abbiano prevalso gli smantellatori. Attorno alla statua è stata eretta un’impalcatura di legno piuttosto colossale, sul modello del Castel del Monte di Federico II, ottagonale. Ci hanno dipinto sopra: SALE – in vendita. E scritte varie, dedicate a una misteriosa Clara, del cui nome accompagnato dall’epiteto infamante un innamorato respinto aveva riempito Odessa qualche anno fa, e che adesso è stata recuperata e riscattata al motto “Clara santa, Caterina troia”.
Come succede in tempi simili, alligna un umor nero. Fra mezzogiorno e l’una partono le sirene d’allarme, la mia amica fotografa borbotta: “Un missile ora, e il tuo articolo della vigilia sarebbe fatto”. In realtà mi sono preparato una carta di riserva. E’ un racconto di Nikolaj Vasil’evič Gogol’ - Mykola Vasyl’ovyč Hohol’. Vi ricordate: Gogol’ è uno scrittore in russo nato in Ucraina, il cui padre scriveva commedie in ucraino. Qualcuno vuol bandire anche lui, ma noi possiamo fare a meno delle sciocchezze troppo grosse. Il racconto, famoso, di Gogol’-Hohol’ si intitola infatti “La notte prima di Natale”, fu scritto fra il 1830 e il ‘32, sta nelle “Veglie presso la fattoria di Dikan’ka”, luogo cosacco in Ucraina orientale. Comincia a proposito, di luce e buio: “L’ultimo giorno prima di Natale era passato. Era scesa la chiara notte invernale. Si vedevano le stelle. La luna si era levata maestosa in cielo, a illuminare la brava gente e il mondo intero, perché tutti cantassero in letizia la gloria di Cristo”. La storia prende presto un andamento tumultuoso. La strega sulla sua scopa vola e al passaggio spegne le stelle una per una. Subito dopo è il diavolo ad allungare le mani sulla luna e mettersela in tasca. E di colpo si fa un tale buio che in pochi sarebbero riusciti a trovare la strada dell’osteria. Gli uomini progettano golosamente di far visita a donne d’altri, benché il buio ricordi loro la pigrizia che è tanto cara a tutti i cosacchi. Il fabbro Vakula, in particolare, langue d’amore per la bella Oksana, che non ha ancora diciassette anni e ride di lui. Il diavolo ha più freddo di tutti, avvezzo com’è all’inferno. Finalmente la sua bisaccia s’impiglia e la luna ne scappa fuori e torna a salire, lenta e altera, su nel cielo. E tutto s’era illuminato. Vakula implora Oksana, potrei commettere un atto disperato, lei lo burla ancora: “Se mi porterai i sandalini della zarina, ti sposerò”. Vakula fa un patto col diavolo, e per maggior sicurezza lo bastona, e si fa portare in volo alla corte di Petemburgo, “diritto dalla zarina”. “E volò e volò, fino a che a un tratto prese a scintillare dinanzi a lui Pietroburgo, tutta lumi”. Là incontra gli illustri cosacchi zaporozhy, venuti dalla Fortezza di Zaporizhia, che accettano di rivestirlo e portarlo con loro in udienza. Corre la carrozza lungo la strada di palazzi alti quattro piani, e: “Dio mio che luce!” pensava tra sé il fabbro: “da noi neanche di giorno è così chiaro”. A palazzo c’è Potëmkin in persona, a istruirli sull’etichetta, e poi un ingresso abbagliante: “E vide una donna di bassa statura, e un po’ corpulenta anche, con gli occhi celesti e un’aria che tanto maestosamente sorrideva, e riusciva talmente a sottomettere ogni cosa...”. Perché ce l’hai con noi, mama, dicono i cosacchi, “abbiamo forse tenuto mano ai sudici tatari? Ci siamo accordati coi turchi? Non ti abbiamo aiutata a sciabolare i crimeani?..” Cosa desiderate dunque? – chiede la zarina Ekaterina. Vakula li precede: “I vostri čereviki, i sandalini... Dio, se la mia promessa si mettesse dei čereviki come questi!” Caterina ride, i cortigiani ridono, gli zaporozhy sono interdetti, e la zarina gli fa portare le sue scarpette più preziose, quelle con l’oro! Vakula e il suo diavolo tornano, Oksana, che ha temuto che si fosse impiccato per amore, lo abbraccia esclamando: ma che importano le scarpe! E arrossì. E tutto finisce bene. E così, “invece di ingannare, e di tentare, e di far fessi gli altri, il nemico del genere umano fu fatto fesso lui medesimo”.
Alle tre mezza del pomeriggio le sirene suonano di nuovo. Un missile ora risolverebbe, eccetera. Ecco. Adesso, per favore, leggete il racconto, un vero gioiello, che entusiasmò Pushkin, e fece comporre le opere di Tchajkovskij e Rimskij-Korsakov, e io l’ho sminuzzato e tirato dalla mia per sbrigarmi di un reportage zoppicante. Vedrete che qualche morale appropriata alla vigilia di Natale di Odessa e delle altre nostre case vi succederà di tirarla. E non attribuitemi un’inclinazione eccessiva al negoziato. Io penso infatti che bisogni sempre negoziare col passato, e quanto al resto tener duro.
P.S. Per la citazione di Pasternak, sono due versi conclusivi, e dicono: “E il giorno dura più di un secolo / E l’abbraccio non finisce mai”.