piccola posta
Bruno Giorgini, una prosa certa ed esperta di luoghi e generazioni
Il fisico teorico e scrittore, morto pochi giorni fa, aveva raccontato "L'Adria", bella, audace, romantica, libera. Sua madre. “Storia di un amore partigiano”, è il sottotitolo, soprattutto l’amore di Bruno per quella ragazza com’era prima di diventare sua madre
Bruno Giorgini è nato a Forlì nel 1946, è stato militante rivoluzionario e fisico teorico e ha tenuto a indagare il legame quasi necessario fra le due vocazioni. Fisico dei sistemi complessi, un po’ come Parisi, lui al seguito parigino del Nobel Pierre Gilles de Gennes, “scopritore del limite critico nella formazione delle valanghe, studiato attraverso modelli di mucchi di minuscole palline sovrapposte, fino alla pallina di troppo – la goccia che fa traboccare il vaso”. Lui stesso ha studiato “la propagazione delle fratture in un sistema viscoelastico – cioè nello scotch: l’effetto stickslip sul nastro da pacchi, come si strappa quando è tirato”. Lui e i suoi hanno srotolato nastri adesivi per due anni. Oppure gli spaghetti: “Se prendete ai due capi uno spaghetto e curvate, in quanti pezzi si spezzerà, perché?” (Più di due, comunque: provate). Intanto è stato giornalista di carta e radio, in Italia e fuori.
Ora ha pubblicato un romanzo, dopo averlo lavorato molti anni, e saggiato in periodiche uscite parziali (“L’Adria. Storia di un amore partigiano”, Pendragon). Un romanzo è un cimento di quelli che possono essere fatali, e trascinare nella rovina un’intera molteplice onorata esistenza. Con questa trepidazione l’ho letto, e me ne sono presto rassicurato. Giorgini aveva un vantaggio iniziale: una romanzesca storia di famiglia, e il tempo e il luogo in cui la vicenda dei suoi attori s’incrociò con la precipitazione della storia: la lotta partigiana, la liberazione delle Valli e di Ravenna. Dell’attrice, soprattutto, “L’Adria”, ragazza, bella, audace, romantica, libera. Sua madre. “Storia di un amore partigiano”, è il sottotitolo, l’amore dell’Adria per l’uomo che sarà il padre naturale di Bruno, fortunato di due padri. Ma il libro è soprattutto l’amore di Bruno per quella ragazza com’era prima di diventare sua madre, raccontato in un’intimità brusca e sicura. Intenzione sconcertante, dapprincipio: immaginare corpo e anima, gambe e pagliuzze negli occhi, e desideri e pene di colei di cui diventerà figlio. Era già successo però. Nei Versi livornesi di Giorgio Caproni, nel libro poetico (1950-58) che dedica a sua madre, Anna Picchi. Come nell’“ultima preghiera”: “Anima mia, fa’ in fretta. / Ti presto la bicicletta, / ma corri… / Arriverai a Livorno, / vedrai, prima di giorno… / Livorno, come aggiorna, / col vento una torma / popola di ragazze / aperte come le sue piazze. / Ragazze grandi e vive / ma, attenta!, così sensitive / di reni…/… / Porterà uno scialletto / nero, e una gonna verde. /…/ tu mòrmorale all’orecchio / (più lieve del mio sospiro, / messole un braccio in giro / alla vita) in un soffio / ciò ch’io e il mio rimorso, / pur parlassimo piano, / non le potremmo mai dire / senza vederla arrossire”.
Ha fatto questo, Giorgini, in una prosa certa ed esperta di luoghi e generazioni, paesaggi, dialetti, mestieri: mettere un braccio attorno alla vita della ragazza Adria, la ciclista, la gappista, l’amante, la capace di durezza e di grazia. Finiva così, Caproni, spedendo la sua anima da Annina Picchi: “Dille chi ti ha mandato: / suo figlio, il suo fidanzato”. Questo era poco più di un anno fa. Bruno Giorgini è morto martedì, 10 gennaio, a Bologna.