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PICCOLA POSTA

Quanto durerà la gente ucraina e la sua leadership alla guerra endemica 

Adriano Sofri

In cima ai sentimenti della gente ucraina sta il rifiuto ad ogni costo del ritorno sotto “la Russia”. Per questo Mosca vuole metterli allo stremo

Odessa, dal nostro inviato – Ci si chiede di quanto tempo disponga l’Ucraina nella sua difesa dall’occupazione. In particolare, quanto tempo possano assicurarle i governi democratici, prima che i loro governati si ribellino ai costi economici della guerra e alla minaccia di una sua evoluzione incontrollata.

  
È un problema. Il presidente Zelensky farà bene a tenerne maggior conto, e a non abituarsi al calore degli applausi e della solidarietà del pubblico internazionale. I cortei militanti a Sanremo appartengono ancora alla pagliacciata, in continuità con quelli contro la tirannide pandemica. La Russia di Putin aveva investito con metodo nell’appello al supposto egoismo dei popoli a corto di gas e di ideali, e si capisce che continui a rinfacciare l’irriconoscenza, e riscuota qualche ritorno all’ovile. Ma la Russia di Putin, almeno dal momento in cui ha scoperto sul terreno di Kharkiv e di Kherson di dover mettere la coda fra le gambe, ha avuto di mira la tenuta dell’Ucraina.

   

Senza più farsi illusioni – se le era fatte, e fu l’indizio più chiaro della sua ottusità dispotica e cortigiana – sull’eventualità di essere accolta dalla gente ucraina. In cima ai sentimenti della gente ucraina sta il rifiuto ad ogni costo del ritorno sotto “la Russia”. La conseguenza di questa scoperta da parte della Russia sta nella scelta di mettere la gente ucraina allo stremo: della morte e la mutilazione, del gelo, del buio, della fame, della debolezza. Ieri, nella corrispondenza di un (bravo, del resto) giornalista italiano dagli Stati Uniti, ho letto la frase: “C’è già un piano per il dopoguerra, quando Mosca accetterà di non poter obliterare l’Ucraina”. Obliterare l’Ucraina: non si poteva dire meglio, né peggio.

      
Dopo esserci chiesti quanto terrà, quanto “resisterà”, l’opinione pubblica dei paesi democratici all’aumento delle tariffe e all’eco delle minacce nucleari, è il momento di chiedersi quanto durerà la gente ucraina e la sua stessa leadership. Una guerra diventata endemica e che non lascia intravvedere il tempo né il modo di una fine non può contare sullo slancio, la dedizione e l’abnegazione dei suoi primi giorni, dei suoi primi mesi. Lo stesso arruolamento è destinato inevitabilmente a fare i conti con una stanchezza e con un più geloso calcolo del proprio futuro personale e, se non di quello, del futuro della propria cerchia personale e famigliare di affetti e di responsabilità. Non è possibile nemmeno il più lontano paragone fra le motivazioni degli opposti eserciti e fra le considerazioni in cui vi si tengono rispettivamente le vite umane. Ma che questa guerra costellata dalle sigle tecnologiche sia anche una falcidie antica, una mietitura all’ingrosso, di vite di combattenti, sta sotto gli occhi di tutti, e non era nel conto, non a questo punto. Oltretutto, il luogo comune secondo cui le guerre uccidono soprattutto i civili è qui (non solo qui) contraddetto, nonostante la predilezione terroristica dell’aggressore per le vittime civili e le loro notti domestiche.

  
E lo stato ucraino? C’è un’altra guerra nella guerra, quella contro la corruzione. Endemica, retaggio “sovietico” e insieme suo goloso aggiornamento. La gente ucraina, e più decisivamente i combattenti ucraini – noi sappiamo che cosa volle dire il ritorno a casa dei superstiti della carneficina delle trincee e degli assalti – proclamano che dopo questo lo scandalo della corruzione non sarà, non è, più sopportabile. Si può capire quale ferita significhi la destituzione d’ufficio, in un colpo solo e spettacoloso, di un manipolo di altissimi esponenti del governo e delle istituzioni colti (dalla libera informazione ucraina per lo più, e non senza rischi) con le mani nel sacco, a volte, sbalorditivamente, un ridicolo sacchetto. Misure simili riscuotono subito un’approvazione e un incitamento. Ma fanno anche pensare. A come si possa mettere una questione di guerra e pace, di vita e di morte, di libertà e di servitù, al repentaglio di furti e creste da magliari, e della propaganda nemica sulla destinazione di armamenti e finanziamenti. Pressoché in coincidenza con lo sconcertante episodio il comandante in capo delle forze armate ucraine, il generale Valeryi Zaluzhnyi, senza dubbio la personalità più in vista del paese accanto al presidente, ha ricevuto in eredità da un cittadino ucraino emigrato negli Stati Uniti un milione di dollari e l’ha immediatamente devoluto all’esercito. Un gesto normale e pressoché inevitabile, se non avesse preso un significato peculiare al confronto con la pulizia – annunciata ancora come parziale, senza esclusione di nomi – decisa da Zelensky nella cerchia dei suoi collaboratori, e spesso amici. Anche sulle rivalità e le gelosie personali fa leva la propaganda nemica – da che pulpito, quello di Kirill. Mettere insieme stato di guerra e trasparenza non è impresa facile, ma è di primaria importanza. 

  
Giovedì, all’indomani dei grandi annunci sulla ressa di carri armati promessi – dovranno arrivare, e l’intervallo potrà rivelarsi determinante – l’esercito russo ha spalancato nel cielo ucraino l’intero ventaglio di missili razzi droni di cui dispone, compresi i più fieri, gli “ipersonici”. (Quante sono le persone nel mondo che vanno a cercare su Wikipedia la differenza fra supersonici e ipersonici? E quelle che non lo fanno, sono forse meno responsabili?). 

 
Si trattava del riflesso condizionato di adolescenti traviati, una masturbazione plateale e pirotecnica, altro che Houellebecq e le sue puttane. I russi fanno così, ogni giorno dopo. Ma c’è del metodo nella loro rozzezza. Ogni volta, accanto all’irrilevata cifra degli ammazzati – undici, volete mettere con gli incidenti stradali? – ci sono milioni di bambini, vecchi, donne e uomini rimessi al freddo e al buio. Obliterati, più o meno. Quanto saprà durare l’Ucraina, e quanto sapremo durare noi, coi nostri affezionati sacrifici?

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