Piccola posta
Bakhmut è strategica o no? Strategiche sono le vite umane
Una scelta da mattatoio, da Prima guerra mondiale, quella dei capi russi di buttare avanti gli uomini come se fossero inesauribili. I difensori li falciano a ondate, a file successive, come si falcia un campo. E a loro volta sono falcidiati dall’artiglieria del nemico
Guardo gli ultimi video da Bakhmut che mostrano, come un tic inceppato, la sparatoria ininterrotta sulle macerie della città, ascolto gli ultimi racconti di chi c’era ancora, e dice di una risposta più rassegnata dei difensori. Forse oggi si leggerà che Bakhmut è caduta. Forse domani, allora si potrà dire che è caduta in marzo, non in febbraio. Anche un solo giorno incide su una data simbolica. La vera scadenza era quella dell’anniversario, e il 24 febbraio Bakhmut e i suoi abitanti che non se ne vanno nonostante tutto, i seimila o tremila che siano, i loro fuochi di legna raccattata dovunque e bruciata nel Centro di Invincibilità, erano ancora ucraini: in capo a un anno, i russi dell’armata regolare e i delinquenti mercenari della Wagner e i pretoriani kadyrovtsy, non hanno preso la cittadina contro la quale avevano puntato la posta più alta del loro gioco di propaganda invernale.
I giornali continuano a ripetere con tono competente che Bakhmut non ha un rilievo strategico – strategico è fra le parole più costose. Chi c’era, spiega che strategiche sono le vite umane, e che Bakhmut, mezza rasa al suolo com’è, ha una parte più alta e una in basso, e gli umani russi vengono buttati avanti dalla parte bassa come se fossero inesauribili, e i difensori li falciano dall’alto, a ondate, a file successive, come si falcia un campo. E a loro volta sono falcidiati dall’artiglieria senza pausa del nemico. Zelensky aveva detto, della difesa strenua di Bakhmut, che lasciarla avrebbe significato solo fare del prossimo villaggio un’altra Bakhmut, e così, fino alla preda più ambita, lei sì “strategica”, Kramatorsk. E’ difficile capire se nella scelta da mattatoio, da Prima guerra mondiale, dei capi russi, anche i difensori ucraini siano restati coinvolti e costretti a pagare comunque un prezzo troppo esoso di vite, e di morale.
La guerra fa, più o meno a casaccio, di nomi senza pretese, una cittadina mineraria, un paese, un villaggio, una collinetta, luoghi fatidici di vittoria e di sconfitta, di resistenza e di sopraffazione, di onore e disonore. E, un giorno a venire, di monumenti. Si sta decidendo sanguinosamente, se non la forma, l’intestazione del grandioso monumento futuro di Bakhmut. Si può essere tentati di pensare che l’uno valga l’altro, un tiro di dadi. Non è così. Ci sarà, quel monumento, e ricorderà chi l’avrà meritato, anche dopo la ritirata. Poi, tanto, tantissimo tempo dopo, generazioni dopo, ce ne sarà un altro, congiunto – forse.