piccola posta
Storia di dieci ex terroristi, per qualcuno senza redenzione alcuna
La Francia si terrà Pietrostefani e gli altri. Quarant'anni di accanimento politico, la vacillante amicizia fra i due paesi messa alla prova di un inseguimento irragionevole
Che frastuono aveva accompagnato, due anni fa, l’arresto degli ex militanti italiani riparati in Francia qualche decennio prima. Avevo chiesto: e poi, che ve ne fate? Non dovranno porsi il problema. La Francia se li tiene, tutte e tutti e dieci. Sarà il tempo a fare la giustizia che qualcuno desidera, e non dovrà nemmeno aspettare tanto. Del resto, è già successo per un certo numero di persone con una storia simile: la vita è comunque una pena di morte. La giustizia francese ha disposto diversamente, e non con una sola sentenza. Quella di martdì, l’ultima davvero, è stata il frutto di un accanimento meramente politico, la vacillante amicizia fra i due paesi messa alla prova di un inseguimento irragionevole e, come vedremo, largamente simulato.
La Cassazione ha dovuto pronunciarsi su un caso già passato per tutti i gradi di giudizio, sempre con una risposta univoca, solo perché l’Eliseo aveva incaricato il ministro della Giustizia di provare l’ultimo, spericolato ricorso. Nel quale la stessa Avvocatura generale e lo stesso relatore della Corte hanno chiesto di confermare il rigetto della domanda di estradizione. Per dirla tutta, la magistratura francese, chiamata in causa in una sequela di circostanze diverse, ha l’aria di essersi sentita presa in giro e un po’ offesa dalla petulanza politica.
Lunedì il Corriere della Sera aveva un’intervista al ministro della Giustizia francese, Éric Dupond-Moretti, che intrepidamente dichiarava, alla vigilia del pronunciamento della Cassazione: “Io li chiamo terroristi. Assassini”. E annunciava che, qualunque fosse la sentenza, “invierò un messaggio agli italiani”. Dupond-Moretti, uomo d’onore, occorre pensare (è rinviato a giudizio solo per un paio di casi di conflitto d’interessi), cittadino francese e italiano, già avvocato di grido, trascura di mettere davanti ai suoi attributi un piccolo “ex”. Da avvocati così ci guardi Dio. Sull’abbrivo, il Corriere (e quasi tutti gli altri) ha intitolato senz’altro: “No della Cassazione francese alla estradizione dei 10 terroristi italiani”. Non c’è redenzione: terroristi in servizio permanente effettivo. E la Francia se li vuole tenere. C’è un dettaglio in più: Pietrostefani non è mai stato condannato, e nemmeno imputato, di terrorismo.
Per spiegare la cosa, ricorrerò proprio al giudizio emesso nel giugno 2022 nei confronti di Pietrostefani, e confermato. Leggete: “In particolare Giorgio Pietrostefani vive in Francia dopo esservi venuto per la prima volta nel 1992. Vi ha fissato la sua residenza e vi ha educato sua figlia, che aveva allora 10 anni, ed è cresciuta e ha fatto i suoi studi in Francia, poi l’università in Gran Bretagna, ed è ora lei stessa madre di un figlio. Dopo la conferma, nel processo di revisione, della condanna di Pietrostefani dalla corte d’Assise d’appello di Venezia il 24 gennaio 2000, nessuna domanda di estradizione è stata inoltrata dalle autorità italiane, che hanno atteso quasi 20 anni per reclamare l’interessato, quando quest’ultimo è pienamente e da lunghi anni integrato nella società francese, dove ha tutti i suoi legami, favorito del resto dall’assenza di una domanda di estradizione che lo riguardasse”.
La sentenza, che quanto alla condanna si attiene ovviamente alla sentenza definitiva del processo italiano, richiama il dettato della Corte europea dei diritti dell’uomo: “Che gli obiettivi legittimi nella carcerazione sono la punizione, la riparazione, la protezione del pubblico e l’assicurazione del reinserimento del condannato. Che le pene e le misure privative della libertà hanno per fine e giustificazione di proteggere la società dall’eventualità di nuovi crimini. Che ogni carcerazione va gestita in modo da facilitare la reintegrazione delle persone private della libertà nella società libera. Che la carcerazione e le altre misure che hanno per effetto di separare il condannato dal mondo esterno sono afflittive per il fatto stesso che spogliano l’individuo del diritto di disporre della propria persona, privandolo della libertà. Che il trattamento dei detenuti deve proporsi di salvaguardare la loro dignità, svilupparne il senso di responsabilità, e dotarli delle competenze necessarie a reintegrarsi nella società e a vivere nella legalità. E dunque a venire incontro ai loro bisogni dopo che siano usciti di prigione…
Nel nostro caso, Pietrostefani non ha più legami in Italia. Ha provato la sua presenza continua, da più di vent’anni, sul suolo francese, con una situazione personale e famigliare stabile. Il turbamento all’ordine sociale causato dai fatti commessi dev’essere apprezzato per la sua gravità ma anche per il tempo trascorso. Bisogna osservare che i fatti per i quali Pietrostefani viene reclamato sono stati commessi cinquant’anni fa. Senza trascurarne la gravità eccezionale in un contesto di violenza estrema e ripetuta che non possono essere legittimate da rivendicazioni politiche, bisogna ritenere che il turbamento all’ordine pubblico provocato si sia esaurito.
Si deve osservare ancora che la consegna di Pietrostefani richiesta dalle autorità italiane potrebbe avere “conseguenze di una gravità eccezionale”, in particolare a causa della sua età e del suo stato di salute. Pietrostefani ha avuto una grave malattia per la quale è stato necessario un trapianto di fegato. Egli ha 79 anni, e se ne richiede l’esecuzione di una pena residua di 14 anni due mesi e 11 giorni di carcere... Dunque la consegna sollecitata dalle autorità italiane, considerata l’antichità dei fatti e le garanzie di inserimento sociale che presenta l’interessato, comporterebbe una violazione sproporzionata al diritto al rispetto della sua vita privata e famigliare…”.
Dicono i telegiornali: “I 10 terroristi”. Dicono: “Si chiude una storia durata quarant’anni”. Ma no. Non si chiude niente, mai niente.