Una targa commemorativa, dedicata a Vasilij Grossman (Wikimedia commons)

Piccola posta

Grossman e lo spettro dell'antisemitismo che ancora si aggira in Europa

Adriano Sofri

"Dov’è il popolo ebraico?". Adelphi ha appena pubblicato il reportage che il grande scrittore produsse nel 1943 sull’Ucraina senza ebrei

"L’ho battuta in lungo e in largo, a piedi e con ogni mezzo, questa terra d’Ucraina: e in tutto questo tempo ho incontrato un solo ebreo”. Cari Anna, Evgenij, Misha, Jura, Viktor, Roman, e gli altri carissimi amici dell’Odessa ebraica che ho avuto la fortuna di incontrare e amare nell’orrore dell’aggressione russa, voglio dirvi che l’edizione italiana Adelphi, a lato delle opere maggiori, ha appena pubblicato il reportage che Vasilij Grossman scrisse nel 1943 sull’Ucraina senza ebrei. Voi forse lo conoscete, qui è un libriccino di una settantina di pagine, 5 euro di prezzo, un’ora di lettura, salvo che ci si fermi a tirare il fiato strada facendo.

Ve ne dedico specialmente questa pagina: “Qui hanno vissuto i nostri nonni, qui ci hanno partorito le nostre madri, qui sono nate le madri dei nostri figli. Tanto è il sudore, tante sono le lacrime che hanno versato gli ebrei in questi luoghi, che a nessuno verrebbe in mente di dirli forestieri, o questa terra non loro. L’ho battuta in lungo e in largo, a piedi e con ogni mezzo, questa terra: e in tutto questo tempo ho incontrato un solo ebreo. Il tenente Shlomo Smulevich Kipperstein, ritrovatosi sotto l’assedio tedesco vicino a Jagotin nel settembre del 1941. La contadina che sarebbe diventata sua moglie, Vasilina Grigor’evna Sokur, lo aveva spacciato per moldavo: era stata portata diverse volte alla Gestapo, in due occasioni l’avevano anche bastonata… Io l’ho incontrato, Kipperstein, ci ho parlato, sono stato tutta una sera ad ascoltare i suoi racconti, e tutti ci siamo stupiti che fosse ancora vivo… Non ho incontrato altri ebrei, in Ucraina. C’è chi mi ha riferito di averne visto uno a Char’kov e uno a Kursk; lo scrittore Il’ja Erenburg mi ha detto di avere incontrato una giovane partigiana ebrea nel nord dell’Ucraina. E basta. Dov’è il popolo ebraico? Dove sono gli ebrei che vivevano in Ucraina?”.

La curatrice Claudia Zonghetti racconta che, rifiutato dal quotidiano dell’esercito Krasnaja Zvezda (Stella rossa) di cui Grossman era corrispondente di guerra, l’articolo uscì in russo su un giornale pochissimo diffuso, e tradotto in yiddish nell’organo del Comitato ebraico antifascista. Se ne persero le tracce fino al recupero dell’originale nel 1990. Grossman era nato nella cittadina ucraina di Berdicev, in cui sua madre e l’intera popolazione ebraica erano state sterminate. Grossman, che era ancora un comunista sovietico, scrive che l’antisemitismo è lo specchio in cui si riflettono, capovolti, tutti i cambiamenti sociali, in tutti i paesi, permettendo di guardare e spiegare i mali del mondo fuori da sé invece che in sé stessi. Così per l’antisemitismo di Dostoevskij, che addebita agli ebrei il cambiamento sociale dal quale vuole credere illesi e immutabili i suoi russi.

Zonghetti annota sobriamente il “silenzio sulla campagna antisemita di Hitler in Europa imposto dai vertici comunisti durante gli anni di alleanza coi tedeschi (e che di fatto segnò il destino degli ebrei ucraini e bielorussi, ignari di quanto succedeva non lontano da loro…”. Quelle di Grossman, dice, “sono le prime pagine in cui si tenta un ragionamento articolato e storico su ragioni e radici dell’eccidio”.

(“L’antisemitismo è il socialismo degli imbecilli”, e se non più il socialismo, il rifugio perenne degli imbecilli, e la bandiera dei loro condottieri. Se fossi meno vecchio, e avessi una cattedra e degli allievi intelligenti, proporrei loro un vasto studio su Soros. Non sulla persona di George Soros, György Schwartz, 92 anni, eccetera, di cui si sa tutto o quasi. Ma sul suo spettro che si aggira sull’Europa e fuori. Su “Soros” parola magica, pronunciata alla rinfusa da capi di stato e proletari, preti e segretari di partito, giornalisti e bancari. Fra i due Soros non c’è quasi niente da spartire. E quando il primo, in carne e ossa e patrimonio, non sarà più di questo mondo, il secondo non se ne darà per inteso e continuerà a evocarlo, tutt’al più sotto un altro nome, così come si fa con l’antisemitismo anche dove non c’è nemmeno un ebreo, o non ce n’è più).
 

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