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Sulla guerra in Ucraina, c'è una corsa al riarmo delle parole
Non più solo dalla parte russa, che ha sempre fatto scialo di parole forti, come nel teppista Medvedev e il carrierista d’azzardo Prigozhin. Il rincaro contagia la parte ucraina, come nell’annuncio ininterrotto della controffensiva
Fa una strana impressione la progressiva trasformazione della guerra d’Ucraina in un rincaro di parole. Non che manchi il rincaro dei fatti, anche i più micidiali. I bombardamenti russi sulle città, le abitazioni e i servizi civili, non hanno sosta, e notte dietro notte – la guerra predilige le notti e la stanze da letto, come i ladri d’abitazione – si aggiudicano nuovi record. Ma passano più o meno inosservati. Le macerie, i morti ammazzati e i feriti e mutilati alla lunga si somigliano troppo. Sono le parole a tenere banco. Non più solo dalla parte russa, che ne ha sempre fatto scialo, come nel teppista Medvedev, che rade al suolo capitali d’occidente a suon di esplosioni nucleari come noccioline. A fargli concorrenza, su quel versante, il carrierista d’azzardo Prigozhin, che mescola a frasi e gesti cinici fino al raccapriccio mezze verità provocatorie. Ha nel curriculum tentati disertori liquidati pubblicamente a martellate in testa, e intanto, come ieri, elogia il valore militare del nemico – donde un maggior merito suo, che finalmente ha conquistato il penultimo muro diroccato di Bakhmut – e proclama di aver avuto fra i “suoi”, i mercenari regolari, per così dire, e i disgraziati detenuti, ventimila morti solo per rinominare Artemivsk quelle rovine. E ingiuriare e minacciare Shoigu e i suoi famigliari imboscati. Il rincaro di parole forti contagia la parte ucraina, che sembra averne fatto anche lei una campagna preliminare, come nell’annuncio ininterrotto della controffensiva, che evoca senza volere certi “Partiam partiam” del melodramma. Sembrano credere anche loro, alcuni di loro, che dirle grosse spaventi il nemico e gli faccia tremare le ginocchia. Ieri una viceautorità ucraina intervistata in Germania ha dichiarato che il suo paese vuole uccidere Putin e Prigozhin, desiderio piuttosto comprensibile, ma presentato come un progetto concreto e imminente: li abbiamo nel mirino. Strano, in particolare, perché Zelensky aveva poco fa commentato il drone sul pennacchio del Cremlino spiegando di non mirare a colpire Putin e compagni a casa loro, ma a portarli davanti a un tribunale.
La corsa al riarmo delle parole è altra cosa da quella delle munizioni. Cedant arma togae, cedano le armi alla toga, diceva Cicerone: qui la toga gareggia con le armi e si prepara a sgombrare loro il campo. Forse ha una sua logica. Ancora una volta, segnala tuttavia una disattenzione al sentimento del pubblico straniero alleato dell’Ucraina, che ha il privilegio di starsene in un relativo riparo, ma è pur sempre un pubblico pagante.