piccola posta
L'ultimo film di Dirk Bogarde e il '68 di Jane Birkin, che ebbe un legame forte con la nostalgia
In “Daddy nostalgie”, il film di Bertrand Tavernier del 1990, Birkin era la figlia, Bogarde il padre vicino a morire. Sembravano assomigliare a se stessi, la cosa più difficile per gli attori
Jane Birkin e la sua voce di bambina. Per chi, come me, era più vecchio di lei, gli anni fra i 50 e i 60 furono largamente francesi, e magari francesi venuti d’oltremanica, come nel suo caso, come nel caso di Dirk Bogarde. Il mio ricordo più vivo viene da “Daddy nostalgie”, il film di Bertrand Tavernier del 1990. Birkin era la figlia, Bogarde (nato un quarto di secolo prima) il padre vicino a morire. L’ultimo film per lui, che ormai si lasciava mostrare un viso disteso, pieno di amore e di riserbo – la nostalgia aveva un suo luogo perduto: Singapore. Lei cantava, e più tardi l’avrebbe incisa con Jimmy Rowles, “These Foolish Things” – remind me of you. La canzone è del 1936, da allora l’hanno cantata tutte e tutti. Nel 1936 elencava già tutte le cose di cui aveva nostalgia – l’“Ile de France” con tutti i gabbiani attorno, una sigaretta con i segni di rossetto… La nobile antenata di “My Favorite Things”. Anche Bogarde registrò canzoni classiche degli anni 30 – Bogarde fece tutto. Le recitava, in realtà, “As Time Goes By”, “A Foggy Day”, una dizione seducente.
Birkin l’avevamo vista arrivare, in punta di seni, in “Blow up”, 1967. C’era una fretta. “Je t’aime, moi non plus”, ancora 1967. Il juke-box del Bar Sport ebbe più di due anni per rimandare loro due che facevano l’amore, prima che arrivasse l’idea che chi non lavora non fa l’amore, e chi lavorava se ne fregò che la canzone volesse essere crumira, andò avanti a fare l’amore – ancora per un po’. Forse non si faceva altrettanto l’amore, ma si fumavano pacchetti blu di Gitane e Gauloise, come lui. In mezzo, quando finiva il ’68, Gainsbourg ne compose un’altra, “’69 année érotique”, voleva dire esattamente quello che diceva, “fino ai settanta”, passò più inosservata, alla voce di bambina di Birkin spettò solo la ripetizione di quelle tre parole, come uno slogan da corteo, tutto finiva in corteo.
C’erano state, prima di lei, Jeanne Moreau – “Jules et Jim”, 1962, e canzone, “Le tourbillon” – Brigitte Bardot, meravigliosa, e la sequela dei suoi brutti film, Jean Seberg, 1960, e poi le “nostre”, cioè le donne di Godard venute a fare il bagno in piazza Navona, Anna Karina, Anne Wiazemsky. Birkin Sarebbe venuta poi nei posti giusti, a Sarajevo, a Grozny, dove i suoi grossi colleghi inciampavano volgarmente.
Bogarde aveva meritato di incarnare la nostalgia in quell’ultimo film, accanto alla figlia-madre ritrovata con la fessura fra gli incisivi. Era stato un ufficiale di intelligence, come il padre di lei. Aveva avuto una bocca dalla reputazione ambigua, ideale per la dialettica servo-padrone, per i servizi segreti, per il disprezzo dell’omofobia. Elusivo, ipocrita forse, mellifluo quando occorreva, ironico sempre. Elegante, decadente – fin troppo nell’Aschenbach di “Morte a Venezia”. Nel film di Tavernier mi sembrò somigliare a se stesso, e Birkin a Birkin. La cosa più difficile per gli attori. La nostalgia che accomuna un padre dal cuore provato e una figlia tornata a conoscerlo e riconoscersi, la frase celebre del film, “bisogna guardare la bellezza, come se fosse l’ultima volta”, sembrano un congedo pentito da quello che era venuto prima, dall’idea che si assegna volentieri al cosiddetto Sessantotto, che si potesse guardare alla bellezza e a tutto il resto come se fosse la prima volta. Ma non è vero. Quello che si è chiamato il Sessantotto ebbe un legame forte con la nostalgia, come può essere forte un sentimento provato da giovani alla prova. Non volle ripudiare o deridere il passato, che lo sapesse o no. Pensò a un passato da riscattare, da rivendicare – da vendicare. Fu la sua ingenuità, ma anche una sua dignità. Non era facile riconoscerlo, quando, nella nostra lingua, “nostalgico” era poco meno che sinonimo di fascista. Succederà di nuovo, ingenuità e generosità. Oggi ho aperto Google al nome Birkin, mi si è sciorinata davanti una cascata di borse – vintage.